di Jacopo Rosatelli
Quello che si è aperto a Bologna è, per Magistratura democratica (Md), un congresso decisivo. Dopo anni di progressivo arretramento di consensi fra le toghe, la corrente di sinistra di giudici e pm è di fronte a una scelta sul proprio destino. Il nodo è il ruolo di Md dentro la coalizione Area, cioè l’unione con il Movimento per la giustizia, gruppo del procuratore di Torino, Armando Spataro, e del numero uno dell’antimafia Franco Roberti. Una questione organizzativa, dietro alla quale si celano divergenze sul ruolo dei magistrati progressisti.
Da una parte c’è chi teme che una Md annacquata in Area significhi la fine dell’eresia dei giudici «rossi», capaci di critica non solo nei confronti di qualunque governo, ma anche dello stesso potere giudiziario – si tratti di gestione delle carriere o di atti repressivi ai danni di movimenti sociali e soggetti deboli. Dall’altra c’è chi denuncia il rischio della cacofonia, e quindi della perdita di credibilità, se la voce di Md continuerà a sovrapporsi a quella del soggetto unitario, l’unico che dovrebbe intervenire pubblicamente su tutto ciò che riguarda l’autogoverno della magistratura. Posizioni che dovranno conciliarsi nel corso delle assise bolognesi, trovando un equilibrio finalmente stabile e condiviso, oppure sfidarsi apertamente. «Ma non ci sarà nessuna rottura»: Carlo De Chiara, presidente uscente di Md, getta acqua sul fuoco. «La dialettica interna è normale, c’è voglia di partecipare e nessuno ha intenzione di sciogliere la corrente».
La preoccupazione che l’investimento nell’alleanza con il Movimento di Spataro e Roberti sia culturalmente a perdere si fonda su episodi come quello dello scorso febbraio alla Scuola della magistratura, quando si scatenò un putiferio attorno al corso sulla «giustizia riparativa». Motivo: la presenza annunciata degli ex br Adriana Faranda e Franco Bonisoli per raccontare il loro percorso di riconciliazione con Agnese Moro. L’incontro saltò: decisiva la levata di scudi di molti magistrati, fra cui lo stesso Spataro. A difendere l’opportunità del confronto mancato, invece, buona parte di Md, in testa il giudice di sorveglianza e membro dell’esecutivo uscente Riccardo De Vito: «Al di là dei molti punti che accomunano le due correnti progressiste riunite in Area, Md deve continuare il suo percorso politico-culturale senza rinunciare al punto di vista esterno alla corporazione e alla sua tradizionale scelta in favore del garantismo».
La Md che si ritrova a Bologna, in campo per il No al referendum costituzionale e impegnata sui dossier profughi, reato di tortura e Turchia, è lontana dai tempi in cui era egemone: con soli due consiglieri al Csm è attualmente la meno rappresentata fra le correnti «storiche» dentro l’organo di autogoverno. E anche le più recenti elezioni per il parlamentino dell’Anm sono state una battuta d’arresto per tutta Area. Fra le toghe fanno breccia le posizioni «sindacali» e «apolitiche», incarnate dalla nuova corrente Autonomia e Indipendenza di Piercamillo Davigo, megafono (da destra) del disagio che serpeggia per carichi di lavoro enormi e carenze di personale, di fronte alla sostanziale indifferenza del governo.
Per Md, invece, i magistrati non devono essere corporativi, e le risposte ai loro problemi devono essere coerenti con un sistema giudiziario visto come servizio ai cittadini, soprattutto quelli più deboli. «Anche la giurisdizione deve rispondere all’imperativo dell’articolo 3 della Costituzione: rimuovere le diseguaglianze. Ed è questo – afferma De Chiara – il grande tema che mettiamo al centro del congresso: è una questione planetaria, in realtà, che dovrebbe preoccupare le istituzioni di tutti i Paesi. Apprezziamo il governo italiano quando contrasta l’austerità in Europa, lo critichiamo duramente quando fa scelte che vanno in un’altra direzione, come il jobs act».
Fonte: Il manifesto
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