di Jacopo Rosatelli
«L’anno che si sta per chiudere potrebbe essere quello del congedo dalla Costituzione repubblicana: per questo sul referendum non ci si può non schierare». Piergiorgio Morosini, consigliere di Magistratura democratica (Md) al Csm, non usa mezzi termini: prendere parola sulla riforma costituzionale è necessario, «e non si può invocare il tema dell’opportunità per non farlo. Indipendentemente da come la si pensi, quando sono in gioco gli assetti del Paese, anche giudici e pm devono dire la propria».
Il congresso di Md è entrato nel vivo, e nella sala congressi dell’Hotel Aemilia, stracolma, rimbalzano le polemiche dall’esterno: quelle di chi trova scandaloso che la corrente di sinistra delle toghe abbia scelto da che parte stare, invitando alle proprie assise «soltanto esponenti del No».
Il congresso di Md è entrato nel vivo, e nella sala congressi dell’Hotel Aemilia, stracolma, rimbalzano le polemiche dall’esterno: quelle di chi trova scandaloso che la corrente di sinistra delle toghe abbia scelto da che parte stare, invitando alle proprie assise «soltanto esponenti del No».
Serpeggia un legittimo fastidio per una querelle già vecchia, rinfocolata da membri del Pd bolognese in cerca di visibilità: «È notorio da mesi che Md è contro la riforma costituzionale, in perfetta coerenza con la scelta che facemmo quando fu Berlusconi a promuovere le modifiche alla Carta», sostiene Carlo De Chiara, presidente uscente del gruppo. «A noi non interessa il colore politico di chi ha proposto i cambiamenti, ma solamente il merito delle modifiche: ed è su quelle che ci esprimiamo».
Susanna Camusso, fra le ospiti illustri della giornata congressuale di ieri, ha difeso il diritto dei magistrati a farsi sentire, e quello di Cgil e Md di confrontarsi: «È un’antica e positiva consuetudine che continua anche ora». La numero uno di Corso d’Italia, in realtà, non è intervenuta sulla consultazione del 4 dicembre, ma sul tema centrale delle assise: le diseguaglianze. «È molto importante – ha affermato Camusso – che gli operatori della giustizia si pongano lo stesso problema che sta alla base della nostra Carta dei diritti del lavoro e dei referendum contro il Jobs act su cui abbiamo raccolto le firme». Qualche ora prima dallo stesso palco aveva preso la parola il leader della Fiom Maurizio Landini, concentrandosi anche lui sui problemi sociali. A margine del suo intervento, però, non è mancato un riferimento al tema politico che agita i sonni di Matteo Renzi: «Bisogna votare No per fermare questa riforma sbagliata».
A onor del vero, dentro Md non sono tutti della stessa opinione. Lo è la grande maggioranza, ma c’è anche chi esprime «rammarico in ordine alla tempistica e alle modalità dell’adesione di Md al comitato del No». A farlo è la sezione di Catania/Caltanissetta in un documento. «È vero, fra di noi c’è anche qualcuno che voterà Sì, ma quello che conta è che con la scelta sul referendum Md ha di nuovo un ruolo riconoscibile, essendo quella voce critica che giustifica la sua esistenza come associazione»: così Rita Sanlorenzo, ex segretaria e figura in vista della componente che nella geografia interna si colloca più a sinistra. Lei è di quelle che temono di più l’annacquamento di Md in Area, la coalizione con il Movimento per la giustizia: una corrente che, sul referendum, ha invece preferito non schierarsi. Una questione, quella del rapporto con Area, che ritorna in molti interventi nell’assemblea, insieme a un altro tema: la deriva carrieristica e verticistica della magistratura, alimentata dalle logiche spartitorie con cui vengono attribuiti gli incarichi direttivi. Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini la vede diversamente, e la platea, mentre lo ascolta, rumoreggia.
La sensazione diffusa in Md è che ci sia una questione «diseguaglianza» anche fra gli stessi giudici: i capi degli uffici stanno diventando – è la denuncia – i padroni dei destini dei loro colleghi magistrati «semplici», che sono quindi indotti a non inimicarsi i superiori. Si rischiano omologazione e conformismo, e l’unico valore che conta è la «produttività», cioè il numero di sentenze che si scrivono. «E per avere alti indici di produttività i processi utili sono quelli contro i poveri, non certo quelli per i reati dei colletti bianchi, dove sono richiesti studio e preparazione. E così lo studio – denuncia la giudice di Forlì Luisa Del Bianco – rischia di essere un lusso che non ci si può permettere».
Fonte: Il manifesto
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