di Paul Guilibert
Dai partiti ecologici europei alle organizzazioni non governative americane, da Nicolas Hulot [*1] a Dipesh Chakrabarty [*2], l'ortodossia ecologista sostiene che il superamento della crisi ambientale ha come presupposto quello di rinunciare, almeno provvisoriamente, alle separazioni ideologiche ed ai conflitti politici. Quindi, niente di più salutare del progetto dell'ultimo libro di Razmig Keucheyan, "La natura è un campo di battaglia. Saggio di ecologia politica". L'autore assume il punto di vista opposto a questo «consenso comodo [che] sostiene che per risolvere il problema del cambiamento climatico, l'umanità deve superare le sue divisioni» (p.11).
L'obiettivo del libro è quello di sfatare l'idea tenace secondo la quale la preservazione della natura interromperebbe la lotta nei rapporti di classe, di razza e di genere. Laddove numerosi autori sostengono la necessità di far passare in secondo piano la lotta di classe, la lotta antirazzista e l'agenda femminista, e cedere all'urgenza ecologica, Razmig Keucheyan dimostra al contrario che la lotta ambientale non è affatto neutra. Esiste "una ecologia bianca" ed un'ecologia non-bianca (p.22). L'ecologia può essere razzista e favorire la riproduzione allargata del capitale.
L'obiettivo del libro è quello di sfatare l'idea tenace secondo la quale la preservazione della natura interromperebbe la lotta nei rapporti di classe, di razza e di genere. Laddove numerosi autori sostengono la necessità di far passare in secondo piano la lotta di classe, la lotta antirazzista e l'agenda femminista, e cedere all'urgenza ecologica, Razmig Keucheyan dimostra al contrario che la lotta ambientale non è affatto neutra. Esiste "una ecologia bianca" ed un'ecologia non-bianca (p.22). L'ecologia può essere razzista e favorire la riproduzione allargata del capitale.
L'autore si propone di cogliere il modo in cui la crisi ambientale cresce e rivela le disuguaglianze sociali e razziali che essa presuppone (capitolo 1) e poi di mostrare le due tendenze grazie alle quali il capitalismo supera questa crisi: la finanziarizzazione della natura attraverso l'assicurazione sui rischi climatici (capitolo 2) e la militarizzazione dell'ecologia (capitolo 3).
Possiamo tentare di ricostruire le due tesi del libro. La prima postula che «la natura è oggi l'oggetto di una strategia di accumulazione» (p.15) che mira a trasformarla, con l'intermediazione della finanza e dell'assicurazione, in merce immediatamente appropriabile da parte dei capitalisti. La seconda tesi è che questa strategia di accumulazione suppone e produce il concetto astratto di una natura sostanziale, vale a dire di un'entità esterna all'uomo e da lui indipendente. L'autore definisce così la natura come «astrazione reale» (p.81, pp.108-11), concetto centrale dell'opera su cui si tornerà. Dire della natura che essa è un campo di battaglia, attiene quindi non solo ad affermare che è la natura viene mercificata dalla finanza, ma anche che esiste un'ideologia ecologista che cela i rapporti di produzione.
L'interesse teorico [*3] del libro risiede quindi nel fatto che vi si può leggere una critica dell'ecologia dominante a partire da una descrizione della mercificazione della natura da parte della finanza. L'idea di preservazione della natura presuppone l'esistenza di un mondo non umano distinto dal mondo umano. La critica perciò presuppone di decostruire il concetto di una natura selvaggia, senza storia, esterna alle società [*4], e che può essere denominata concezione feticista o sostanzialista della natura. La critica dell'idea di natura pone tuttavia dei problemi nell'economia di questo saggio.
Infatti, la tradizione marxista cui l'autore si richiama ha sempre presupposto l'esistenza di una natura esterna all'uomo. Questo non si basa su un naturalismo clandestino ma sulla centralità della produzione e del lavoro nelle relazioni metaboliche fra società e natura.
«Il lavoro è in primo luogo un processo che avviene fra l'uomo e la natura, un processo in cui l'uomo regola e controlla il suo metabolismo con la natura attraverso la mediazione della sua propria azione» [*5].
Il processo del lavoro presuppone l'esistenza di un substrato naturale che le società trasformano per produrre degli oggetti insieme alle loro proprie condizioni materiali di esistenza. La crisi ecologica sarebbe quindi la conseguenza di una perturbazione nello scambio di materiali fra le società ed il loro ambiente che deriva dal modo di produzione capitalista. Lo sfruttamento della natura nelle società capitaliste si caratterizzerebbe così per mezzo di una «rottura nello scambio metabolico fra le società e la natura» [*6]. L'esistenza di una natura materiale è quindi la condizione della possibilità di una critica dello sfruttamento capitalista dell'ambiente. Ora, la natura è un campo di battaglia che presenta una decostruzione originale del concetto di natura a partire dall'idea «di astrazione reale». D'altra parte, la critica dello sfruttamento dell'ambiente a partire da un'analisi della produzione è totalmente assente nel libro.
Pertanto, si pone la questione dell'oggetto specifico di questo saggio di teoria critica. Se, senza un concetto materialista della natura, la critica del suo sfruttamento appare impossibile, bisogna interrogarsi su quale sia l'oggetto che questo saggio intende criticare. Razmig Keucheyan intende descrivere la mercificazione della natura da parte della finanza, e l'ideologia naturalista con tale mercificazione solidale. Pertanto, l'assenza di distinzione fra differenti concezioni della natura porta a volte il lettore a perdere di vista ciò che viene designato con il termine di "natura". Ci si può perfino domandare se a decostruire questo concetto senza distinguere la natura sostanziale dalla natura materiale, l'opera del sociologo francese non corra il rischio di minare i fondamenti di una critica materialista dello sfruttamento dell'ambiente. La nostra ipotesi è la seguente: la decostruzione materialista del concetto di natura permette di prendere in considerazione una critica dell'ideologia ecologista. Permette anche di discutere le posizioni costruttiviste di Bruno Latour o di Philippe Descola [*7]. Ma l'assenza di distinzione fra un concetto materialista ed un concetto feticista o sostanzialista della natura, porta a volte ad un'indeterminatezza dell'oggetto stesso dell'opera: si tratta di una critica dell'ideologia naturalista o di una critica dello sfruttamento dell'ambiente? Noi ci proponiamo di leggere "La natura è un campo di battaglia" a partire da questa tensione e per mezzo di una spiegazione del concetto di natura che il libro presuppone.
Bisogna tuttavia fare una premessa. Il lettore potrebbe rimanere sorpreso circa la differenza di registro fra "La natura è un campo di battaglia", che somma sociologia empirica e storica, e questo articolo che astrae rispetto al contenuto empirico per concentrarsi su uno studio dei concetti. In questo va vista anche un'incapacità dell'autore di questa recensione a posizionarsi rispetto a dei fenomeni economici o politici di cui ignorava l'esistenza e ad una differenza di campo: laddove il saggio di Razmig Keucheyan utilizza i metodi della sociologia empirica e storica, noi intendiamo svolgere una discussione concettuale sulle principali tesi del libro. Questo scarto spiega soprattutto il fatto per cui alcuni capitoli (in particolare quello sulla «militarizzazione dell'ecologia» non verranno qui affrontati.
Lotte ambientali e diritti civili: quale strategia per un'ecologia radicale?
Bisogna partire dall'esempio centrale della prima parte, il movimento per la "giustizia ambientale". La sua funzione è quella di mostrare che «la razza è [...] un fattore esplicativo della localizzazione dei rifiuti tossici negli Stati Uniti» (p.20). Il movimento americano per la "giustizia ambientale" è nato nella Contea di Warren, nel Nordest della Carolina del Nord, nel 1982. Questa mobilitazione ha opposto i neri poveri della città di Warrenton alla municipalità che aveva deciso di seppellire i rifiuti di una sostanza molto cancerogena in un terreno vicino alla città. Il movimento per la giustizia ambientale aveva come particolarità il fatto di leggere la questione delle disuguaglianze ecologiche alla luce delle questioni razziali. L'esempio interessa il nostro autore nella misura in cui «rende visibile l'ingiustizia razziale e sociale che sottende la gestione dei rifiuti tossici» (p.20). Sono i neri che subiscono in effetti la maggior parte delle conseguenze negative della produzione industriale. L'uragano Katrina (pp.25-8) o l'esplosione della fabbrica AZF a Tolosa (pp.48-9) testimoniano parimenti il fatto che le catastrofi socio-ecologiche toccano sempre soprattutto le zone urbane occupate da dei non-bianchi poveri. La ripartizione dei rischi socio-ecologici è quindi profondamente inegualitaria. L'ecologia non trascende le divisioni sociali e razziali: «il colore dell'ideologia non è il verde bensì il bianco» (p.24). È fondamentalmente questa l'importante lezione che Razmig Keucheyan trae dal movimento per la "giustizia ambientale".
Questo movimento si è perciò concentrato, all'inizio degli anni 1980, sulla ripartizione socio-spaziale delle disuguaglianza ecologiche. Citando Laura Pulido, l'autore mostra che questo movimento ha concentrato le sue lotte sulla «sedimentazione spaziale delle disuguaglianze razziali» [*8]. È interessante constatare che il movimento per la "giustizia climatica", più recente e più internazionale, viene solo brevemente vocato all'inizio del primo capitolo. Ora, questo movimento, come altri importanti movimenti ecologisti radicali contemporanei, si fonda sull'esistenza di uno "scambio ineguale" fra i paesi del centro ed i paesi della periferia. Lo "scambio ecologico ineguale" designa l'estrazione delle risorse naturali dei paesi della periferia verso i paesi del centro e che consiste, per riprendere un'espressione usata da Af Hornborg, in una "appropriazione di spazio-tempo" [*9]: appropriazione dello spazio coltivabile dei paesi periferici e del tempo di lavoro dei colonizzati. È tale scambio ineguale a giustificare il riconoscimento di un "debito ecologico" dei paesi del Nord nei confronti dei paesi del Sud. Questo movimento, contrariamente al movimento per la giustizia ambientale che si concentra sulla distribuzione socio-spaziale delle ineguaglianze ecologiche, ritiene che sia la produzione di ineguaglianze ambientali su scala globale a dover essere l'oggetto delle lotte ecologiste.
Lo studio del "razzismo ambientale" e del movimento della giustizia ambientale che occupa tutta la prima parte del libro permette di mostrare che le disuguaglianze ecologiche coincidono con le disuguaglianze socio-razziali e che le lotte ecologiche non possono fare astrazione da questo.
«Il movimento per la giustizia ambientale non è nato dal movimento ecologista, che sorge negli anni 1950, né dal movimento ambientalista, che appare nel diciannovesimo secolo, ma dal movimento per i diritti civili» (p.18).
L'ecologia politica che fa astrazione dei rapporti di produzione è un'ecologia politica al servizio dei dominanti. Quindi, la prima parte del libro risponde perfettamente all'obiettivo che si è dato: dimostrare che l'ecologia politica è strutturata dai conflitti sociali, nella fattispecie di razza e di classe. Ma, se la scelta di quest'esempio pone l'accento sulla "intersezionalità" delle lotte, di converso pone la questione dell'autonomia delle lotte ecologiste. Se una lotta ecologista è radicale solo a condizione di "incontrare" altre lotte (la battaglia per i diritti civili, ad esempio), bisogna domandarsi se le lotte e le rivendicazioni strettamente ecologiste abbiano un'autonomia. Si tratta, in altri termini, di interrogarsi sull'oggetto specifico dell'ecologia politica.
L'oggetto dell'ecologia politica
Qual è l'oggetto dell'ecologia politica? [*10] La questione sembra richiedere una risposta ovvia: lo studio e la preservazione della "natura". Tuttavia, come dimostra Razmig Keucheyan facendo uso di un certo numero di storici dell'ambiente [*11], questa risposta è tutt'altro che scontata. Riprendendo dall'Althusser di "Leggere il Capitale" l'idea che «leggere [...] in filosofia, è esattamente mettere in discussione l'oggetto specifico di un discorso specifico, ed il rapporto specifico di tale discorso con il suo oggetto», per rispondere alla domanda, prenderemo in considerazione i differenti oggetti che in ecologia politica costruiscono differenti discorsi. Così, ne "La natura è un campo di battaglia", si possono isolare tre oggetti dell'ecologia politica, che costituiscono tre approcci differenti [*12].
L'approccio che definiremo ambientalista prende come oggetto la "natura", compresa come insieme di esseri non-umani. Questa concezione della natura venne attuata sia dagli Imperi coloniali inglesi e francesi del 19° secolo che dalle organizzazioni non governative americane. Così come faranno gruppi ambientalisti come il WWF o il Sierra Club (organizzazione la cui missione è quella di «esplorare, apprezzare e proteggere i luoghi selvaggi del pianeta») [*13]. Queste organizzazioni rifiutano di considerare come ecologiste le lotte il cui teatro non è una natura selvaggia fantasticata (wilderness). La separazione che stabiliscono fra questioni ecologiche e questioni sociali, permette loro di nascondere la natura capitalista della crisi ambientale. In ogni caso, si tratta di preservare e proteggere una natura supposta "vergine" o "selvaggia" sottraendola alle pratiche supposte come barbare e distruttive delle popolazioni locali. Questo preservazionismo ha sempre accompagnato le pratiche coloniali-imperialiste degli Stati del centro capitalista.
L'approccio marxista si concentra sulle relazioni metaboliche fra società e natura al fine di proporre una critica del produttivismo capitalista ed assicurare la sostenibilità del suolo. Come ha recentemente ricordato John Bellamy Foster [*14], l'oggetto dell'ecologia politica marxista è l'analisi della «rottura nello scambio metabolico fra società e natura». Marx ha constatato nel Capitale che questo fenomeno si accompagna allo sviluppo del capitalismo nell'età industriale [*15]. La concentrazione della popolazione nelle città in seguito alla concentrazione delle terre nel corso dell'accumulazione primitiva, e l'aumento della popolazione che l'accompagna, ha come corollario una crescente domanda di beni agricoli. L'aumento della produttività agricola porta ad un impoverimento del suolo che viene compensato per mezzo dell'importazione massiccia di fertilizzanti naturali. È precisamente tale fenomeno che il concetto di "scambio ecologico ineguale" permette di illustrare.
L'approccio pragmatista o costruttivista assume come oggetto le differenti costruzioni del rapporto umano/non-umano per mettere in discussione la pertinenza di tale distinzione al fine di integrare l'insieme degli esseri in seno ad una medesima cosmologia. Così, tanto la politica della natura di Bruno Latour quanto l'antropologia della nature di Philippe Descola [*16] si propongono di decostruire l'oggetto dell'ecologia politica. Émilie Hache, nell'introduzione al libro "Ecologia politica: Cosmo, comunità, ambiente" svolge un'eccellente sintesi di queste posizioni: «Lungi dall'essere universale, ciò che riguarda l'ecologia comporta delle concezioni del mondo che esigono - a meno che non sia una forma di imperialismo che parla a suo nome - di essere esplicitate e problematizzate così come i modi di rapportarsi ad essa» [*17]. L'ecologia non riguarda affatto «i mondi non umani» ma la «coesistenza possibile fra esseri eterogenei, umani, e non umani, in un mondo finito» [*18].
A quale ecologia politica si richiama il libro di Razmig Keucheyan e qual è il suo oggetto specifico? Ovviamente non c'è bisogno di dimostrare che sfugge all'approccio che abbiamo definito come ambientalista. Tutto il libro è costruito come una critica de "l'econazionalismo" degli Imperi coloniali, delle organizzazioni non governative e degli Stati emergenti (l'India o la Cina per esempio). Al contrario, l'opera si presenta da sola come un saggio di ecologia politica marxista. Il capitolo intitolato "Le ineguaglianze ecologiche: un approccio marxista" afferma che:
«La bussola marxista qui impiegata cerca in ogni circostanza le tracce o gli effetti della logica del capitale e della lotta di classe, quindi un primato del principio accordato a questo fattore» (p.42).
Tuttavia, l'oggetto de "La natura è un campo di battaglia" non è quello di analizzare le relazioni metaboliche fra gli uomini e la natura, cosa che richiederebbe da una parte un'analisi della produzione capitalista e dall'altra un'analisi della riproduzione della rottura del metabolismo su scala mondiale [*19]. L'autore non affronta nessuna delle due questioni. Al contrario, un certo numero di elementi sembra mostrare che la metodologia marxista che attua non è incompatibile con un approccio pragmatista o costruttivista. A più riprese, l'autore evoca la possibilità che il concetto di natura sia una costruzione della Weltanschauung occidentale che serviva a giustificare le pratiche coloniali ed imperiali dei paesi del centro capitalista. «Nel 19° secolo, la Francia è anche il luogo di una costruzione sociale e coloniale della natura» (p.54). Così l'autore fa riferimento alla sociologia di Bruno Latour e in particolare al suo libro "Politica della natura" [*20] che propone una decostruzione del concetto di natura. Immediatamente, Razmig Keucheyan sottolinea con ragione che si tratta, malgrado le sue pretese, di una sociologia apolitica nella misura in cui non considera mai la conflittualità dei rapporti di produzione.
«L'epistemologia "pragmatista" dalla quale procede la più parte di questo lavoro non è in grado di spiegare il carattere sistemico e conflittuale delle ineguaglianze ambientali. A quali finalità politiche soddisfa la grande divisione fra la natura e la cultura? In che cosa si lega alla logica del capitale, della lotta di classe o della forma dello Stato Moderno? In che misura l'imperialismo ed il colonialismo hanno influito su tale processo? [...] L'approccio marxista, come facciamo qui, presuppone di "collegarsi" ad un teoria del capitalismo e dei suoi effetti in tutte le sfere della vita sociale» (p.43).
La tensione fra costruttivismo e materialismo è centrale al fine di comprendere il dispiegamento della problematica di questo saggio. Per comprendere il tipo di ecologia politica messa in atto, bisogna cercare di definire il concetto di natura che viene qui presupposto.
La natura, posta in gioco della lotta o costruzione ideologica.
Ne "La natura è un campo di battaglia", si trovano più definizioni in concorrenza fra loro del concetto di natura. In primo luogo, la natura sarebbe una «dimensione delle lotte» (p.14,42). In secondo luogo, la natura sarebbe una «costruzione» ideologica (p.54, 200). In terzo luogo, la natura sarebbe una «astrazione reale» (p.81, pp.108-11).
La natura come «dimensione delle lotte»
«L'intersezionalità fra la classe, la razza ed il genere deve pertanto essere completata da una quarta dimensione, che viene a complicare allo stesso tempo quello che è complicato dalle altre tre dimensioni: la natura. Questa possiede un'ontologia (politica) altamente problematica, concepibile solamente in un rapporto dialettico con le altre tre» (p.42).
Nell'affermare che la "natura" è concepibile solo in un rapporto dialettico con le altre tre "dimensioni" della lotta, si presume che la lotta ecologista non abbia alcuna autonomia. Essa sarebbe dipendente dai rapporti di dominio che serve o di cui si serve. Quest'affermazione è coerente con l'idea che non esista una sola ecologia o una sola lotta per l'ambiente, ma che l'ecologia politica si costruisce nelle lotte sociali in cui si mobilita. Ciò significa che la classe, la razza ed il genere - così come la natura - esistono soltanto in una rapporto dialettico con le altre tre "dimensioni" dei rapporti sociali? Oppure, significa che la natura, contrariamente alla classe, alla razza ed al genere, non è un rapporto sociale? In altre parole, la natura è un rapporto sociale oppure è una "dimensione" di tutti i rapporti sociali?
La classe, la razza ed il genere designano dei rapporti sociali di produzione o di riproduzione. In altre parole, dei rapporti fra gruppi umani (per natura socializzati): fra borghesi e proletari, bianchi e non-bianchi, uomini e donne. Ora, la natura non si riferisce affatto ad un rapporto fra differenti gruppi umani. Al contrario, introduce un rapporto fra umano e non-umano. Si tratta di un rapporto sociale? Una risposta positiva, di tipo pragmatista, suppone che la divisione fra umano e non-umano non coincide con la divisione fra società e natura. Una risposta marxista, sarebbe indubbiamente negativa: affermerebbe piuttosto che la natura interviene come presupposto che ci si trova davanti nel processo di produzione [*21]. La natura interverrebbe come il presupposto di ogni rapporto sociale. La prima definizione di natura che restituisce l'autore è quindi problematica in quanto sembra esitare fra due concezioni concorrenti. La seconda definizione sembra propendere a favore del pragmatismo.
La natura come costruzione ideologica
«Nel 19° secolo, la Francia è anche il luogo di una costruzione sociale e coloniale della natura (p.54).
Tuttavia, lo Stato capitalista ha come funzione, come abbiamo visto nel II capitolo, anche quella di costruire la natura (p.200)»
La tesi per cui la natura sarebbe costruita è innanzitutto una tesi pragmatista o costruttivista. L'idea di una "natura" compresa come entità «dalla quale l'uomo si ritira e costruisce un puro "mondo di oggetti"» [*22] e che serve come gestore del dominio imperiale è conforme alla costruzione del mito della natura selvaggia (wilderness) americana ed a quella della «natura purificata» (p. 57) degli Imperi coloniali. La decostruzione del concetto di natura permette così non solo di lottare contro l'etnocentrismo clandestino dell'antropologia [*23] ma anche contro l'ideologia imperialista della preservazione della natura. Tuttavia, esiste un substrato materiale alla produzione ed alla riproduzione, un dato su cui l'uomo agisce. Non è necessario considerare questa natura come originaria ma è necessario considerare, almeno analiticamente, che ciò che il produttore deve affrontare è un dato naturale:
«Prima di ogni suo intervento, l'uomo trova l'oggetto universale del suo lavoro nella terra (ivi compresa dal punto di vista economico, l'acqua), che è la sua fornitrice originale di nutrimento, di mezzi di sussistenza completamente pronti» [*24].
Dal punto di vista del processo lavorativo e quindi dal punto di vista della produzione, esiste sempre un dato trasformato per mezzo del lavoro. La natura designa questo dato, oggetto del lavoro. Che questa natura sia essa stessa un prodotto del lavoro sociale precedente non cambia niente [*25]. La natura quindi qui non designa una sostanza o una realtà esteriore ed indipendente dalle società. Essa è solo ciò che è dato nel processo lavorativo. Il concetto di una natura materiale, substrato analitico della produzione, è la condizione della possibilità di una critica dello sfruttamento della natura nel capitalismo. Come si articola dunque nel libro di Razmig Keucheyan la critica dello sfruttamento della natura e la critica del concetto sostanzialista di natura (in altre parole, la critica ontologica e la critica ideologica)? È a tale domanda che ci sembra che l'autore fornisca una risposta che definisce la natura come «astrazione reale».
La natura come astrazione reale: il costruttivismo alla prova della critica
Razmig Keucheyan ipotizza che la finanziarizzazione della natura consiste in un fenomeno «di astrazione-scambio» [*26] per cui la natura diventa una «astrazione reale». Al fine di cogliere esattamente che cosa significa una simile definizione, dobbiamo compiere una doppia deviazione: verso l'idea di astrazione reale così come viene definita da Alfred Sohn-Rethel, da un lato, e verso il processo di finanziarizzazione della natura dall'altro lato.
La «astrazione reale» designa un'astrazione che risulta da un processo socio-storico e non da un processo mentale. Quest'astrazione verrebbe realizzata nello scambio di merci in quanto che si suppone in maniera provvisoria la sospensione dell'uso della merce scambiata: la merce è l'oggetto dello scambio nella misura in cui il suo valore d'uso è provvisoriamente astratto. In che cosa questa analisi si applica alla natura?
Rispondere a tale questione presuppone lo studio del meccanismo della finanziarizzazione della natura stessa. Nel settore assicurativo classico, si applica la legge dei grandi numeri la quale permette di prevedere la quantità e la frequenza dell'insorgere di rischi da indennizzare. Ma, e qui sta secondo l'autore una delle chiavi di comprensione della finanza ambientale, i rischi climatici impediscono che sia applicata la legge dei grandi numeri in quanto le incertezze, a volte gigantesche, che emergono riguardano tutte le zone geografiche. Le catastrofi climatiche possono causare il fallimento delle grandi compagnie di assicurazioni. Da qui il fatto che la costituzione «dell'assicurazione delle assicurazioni», o della riassicurazione, accompagna lo sviluppo del capitalismo in epoca moderna. Ciò permette sia di trovare delle controtendenze all'abbassamento dei tassi di profitto grazie a delle opportunità estremamente redditizie che permettono di limitare le perdite finanziarie nel corso delle distruzioni causate dalle guerre, dalle catastrofi naturali o dal terrorismo.
Per ovviare ai crescenti rischi in materia di assicurazione sui rischi climatici, le compagnie di assicurazioni si sono lanciate nelle cartolarizzazioni, vale a dire la finanziarizzazione dell'assicurazione. La tesi del secondo capitolo è che la finanziarizzazione delle assicurazioni climatiche corrisponde ad un processo di «accumulazione per mezzo dell'esproprio» [*27] da parte del nuovo ordine che si accaparra dei beni fino a quel momento non redditizi, i beni naturali.
I "cat bond", o catastrofe bond, sono un nuovo meccanismo di assicurazione che permette di disperdere i rischi naturali nello spazio e nel tempo. Questo prodotto derivato permette alle compagnie di assicurazioni e di riassicurazioni di farsi supportare da terzi per i rischi legati al verificarsi di catastrofi naturali. Nel caso di un disastro, il detentore del titolo perde parte o tutti gli interessi. I cat bonds non riguardano solamente le catastrofi naturali. Veniamo così a sapere che alcune compagnie di riassicurazione quali Swiss Re o Axa hanno istituito dei programmi di cartolarizzazione ("Vita Capital IV Ltd." per Swiss Re) che permettono loro di ricevere fino a due miliardi di dollari di risarcimento in caso di eccesso di mortalità dovuto al verificarsi di alcuni tipi di malattia.
Ora, lo sviluppo di una finanza della catastrofe ha come corollario quello dello sviluppo di una modellizazione della natura (portata avanti dalle grandi agenzie di modellizzazione come ad esempio Applied Insurance Research, Eqecat, Risk Management Solutions). La natura diventa un'astrazione reale, cioè a dire un'astrazione che «non si basa più sul pensiero» [*28] nella misura in cui la modellizzazione - processo di astrazione matematica - la trasforma in bene scambiabile. Questa «mercificazione attraverso la modellizzazione» [*29] avviene in tre tappe (p.111): costruire l'oggetto, delimitandone i contorni; «disincastrare l'oggetto, vale a dire isolarlo in rapporto al suo contesto» (p.111); infine, stabilire una prevedibilità generalizzata. Questo meccanismo è illustrato perfettamente dal mercato dei diritti di inquinamento. Lo Stato o le autorità pubbliche nazionali o transnazionali fissano dei limiti di emissione del CO2 inferiori alle sue emissioni passate. Se un'impresa le supera, pagherà per la differenza. Ora, questo meccanismo presuppone la costruzione, il disincastramento e la prevedibilità di un oggetto (la tonnellata di carbonio). Delle organizzazioni internazionali come l'OIT oppure il Programma Alimentare Mondiale portano avanti delle politiche di «finanziarizzazione della vita quotidiana» simili, soprattutto con l'intermediazione della micro-assicurazione.
Questa ipotesi sembra suggerire che la finanziarizzazione (vale a dire, lo scambio sul mercato dei prodotti derivati) e la modellizzazione costituiscono entrambi i momenti del processo di astrazione-scambio. Ma, la modellizzazione matematica della natura non è una astrazione «che sfugge al pensiero». La modellizzazione matematica corrisponde, al contrario, al momento ideale dell'astrazione. Perciò non bisognerebbe affermare che la natura «corrisponde» ad un processo di astrazione reale ma che il concetto feticista di natura deriva da una doppia astrazione, reale ed ideale, prodotto dalla finanziarizzazione dell'ambiente e dalla modellizzazione della natura. In tal senso, l'ipotesi dell'autore sembra confermare e completare (a livello di intuizione teorica laddove l'opera del filosofo francofortese lo espone a livello di esigenza filosofica) l'opera di Sohn-Rethel:
«Qual è dunque l'origine di concetti feticisti quali "soggetto cognitivo", "l'universale", "lo spirito", "la natura" da cui l'uomo di ritira e fa un puro "mondi di oggetti", ed altri concetti dello stesso genere che forniscono il materiale necessario ad un mondo abitato da puri intelletti? La spiegazione si trova in questa verità che noi ripetiamo secondo la quale sono le categorie dell'intelletto indipendente che costituiscono le funzioni di sintesi sociale attraverso cui una società produttrice di merci forma un legame coerente» [*30].
In altre parole, fra i concetti feticisti, quelli di natura sarebbero prodotti dal processo di astrazione ed hanno lo stesso valore delle categorie kantiane: assicurare la sintesi. Laddove i puri concetti della comprensione sono, in Kant, delle regole di sintesi delle diverse intuizioni in oggetti, i concetti feticisti - fra i quali, al primo posto si trova quello di natura - esprimerebbero le regole che permettono di assicurare il legame sociale. Il concetto feticista di natura rinvierebbe quindi a «un puro mondo di oggetti» [*31] la cui origine sociale rimane astratta. Qual è l'interesse di questo studio del concetto di natura svolto a partire dall'analisi di Sohn-Rethel?
Da una parte, permette di descrivere il processo reale per cui la natura viene trasformata e mercificata per mezzo della finanza. Dall'altra parte, permette di pensare l'origine materiale del concetto sostanzialista di natura così come viene utilizzato dall'ecologia dominante e dai difensori della natura selvaggia. Bisognerebbe quindi distinguere due concetti di natura. Il primo designa l'insieme dei processi materiali, sia umani che non umani [*32]. Mentre nella seconda accezione, la "natura" è un concetto feticista prodotto dall'astrazione-scambio (compreso lo scambio di titoli sul mercato finanziario). Questa tesi invita così a pensare che la "natura" intesa come entità o come sostanza esiste solo nella misura in cui viene prodotta dallo scambio capitalista.
Così, la definizione di natura come astrazione reale permette di intraprendere una discussione a partire dalla sociologia pragmatista di Bruno Latour o dall'antropologia della natura di Philippe Descola. Permette di determinare l'origine economica materiale del concetto feticista di natura che il pragmatismo intende decostruire. Il fatto che il concetto sostanzialista di natura, presupposto dall'ecologia dominante, sia una costruzione della Weltanschauung occidentale che permette di giustificare l'oppressione coloniale, è una tesi condivisa da alcuni pragmatisti [*33] e dalla sociologia marxista. Di contro, l'idea che questa costruzione ideologica derivi dallo scambio di merci capitalista, vale a dire l'idea che il concetto sostanzialista di natura sia il prodotto della materialità dei rapporti sociali, è quello che distingue l'approccio pragmatista e l'approccio marxista de "La natura è un campo di battaglia".
Conclusione
Criticare il carattere ideologico del discorso ecologista dominante presuppone il passaggio attraverso una decostruzione del concetto sostanzialista di natura. La tesi secondo la quale tale concetto è il presupposto ed il prodotto sia del processo di astrazione-scambio che della modellizzazione della natura è fra le più originali e più forti del libro. Potrebbe permettere di spiegare l'origine materiale del concetto ideologico di natura ed innescare così un dibattito estremamente fruttuoso con il pragmatismo. L'assenza di distinzioni esplicite fra il concetto sostanzialista di una natura prodotta dall'astrazione-scambio ed il concetto materialista di una natura data nel processo lavorativo porta ad una fluttuazione che riguarda l'oggetto stesso del libro: una critica della mercificazione della natura e dell'ideologia solidale con tale mercificazione o una critica dello sfruttamento dell'ambiente. La scelta degli esempi e la metodologia impiegata indica senza alcun dubbio che si tratta assai più di una critica della mercificazione della natura e dell'ideologia ecologista.
Si possono (ed il nostro autore ci invita a più riprese a farlo, soprattutto nel capitolo "L'ecologia politica che viene" e nella conclusione del terzo capitolo) declinare delle proposte negative e positive per una politica ecologista materialista. Si deve, da un punto di vista ideologico, rifiutare l'idea che il rapporto dell'uomo con la natura trascenderebbe i rapporti di produzione ed il dominio di razza, di classe e di genere. La preservazione della natura non può quindi essere un obiettivo delle politiche ecologiste radicali. Voler preservare la natura presuppone la comprensione dell'ambiente come dominio separato dal mondo sociale e storico, mentre invece esso viene permanentemente trasformato e modificato da questo. Una politica ecologista materialista deve, di contro, dal punto di vista della prassi, resistere allo sfruttamento capitalista dell'ambiente e permettere che siano garantite le condizioni della possibilità del «metabolismo società-natura»
[*1] - Il "patto ecologico" di Nicolas Hulot è stato proposto alla firma dei candidati alle elezioni presidenziali francesi del 2007. La maggior parte di loro lo hanno firmato, così come hanno fatto migliaia di cittadini. Vedi: Nicolas HULOT, 2006, Pour un pacte écologique, Paris : Calmann-Lévy.
[*2] - Dipesh CHAKRABARTY 2012, ‘The climate of history. Four theses’, Critical Inquiry, 35 : 197-222.
[*3] - L'interesse empirico dell'oggetto è assolutamente innegabile e notevole. Tuttavia, non è oggetto di questa recensione.
[*4] - L'idea secondo la quale ci sarebbe una storia della natura non è nuova, ma recentemente è stata ricordata nella letteratura francese da Christophe Bonneuil e Jean-Baptiste Fressoz in L’évènement anthropocène, Seuil, Paris, 2013. Vedi a pag.52: «Prendere sul serio l'Antropocene come storico, significa prendere atto che questa antica discordanza dei tempi (fra storia umana e storia naturale) non c'è più». In altre parole, la storia della natura e la storia umana devono essere studiate insieme. Vedi anche: Karl MARX, Le Capital, Livre 1, PUF, Paris, 1993, notamment p.203
[*5] - Karl MARX, Le Capital, Livre 1, PUF, Paris, p.199.
[*6] - John BELLAMY FOSTER, « Marx’s Theory of Metabolic Rift : Classical Founadations for environmental Sociology », The American Journal of Sociology, vol.105, n°2, septembre 1999, p. 366-405
[*7] - Vedi fra l'altro: Bruno LATOUR, Politiques de la nature, La Découverte, Paris, 1999 et Philippe DESCOLA, Par delà Nature et Culture, Gallimard, NRF, Paris, 2005.
[*8] - Laura PULIDO, « Rethinking environmental racism. White privilege and urban development in Southern California », Annals of the Association of American Geographers, vol.90, n°1, 2000, p.16.
[*9] - Vedi fra l'altro: Alf HORNBORG, 2011, Global Ecology and Unequal exchange, New-York, Routledge.
[*10] - Si riprende qui il titolo di uno dei capitoli introduttivi del libro a cura di Emilie HACHE, Écologie politique, Cosmos, communautés, milieux, Éditions Amsterdam, Paris, 2012.
[*11] - Vedi fra l'altro: Fabien LOCHER et Grégory QUENET, « L’histoire environnementale : origines, enjeux et perspectives d’un nouveau chantier », Revue d’histoire moderne et contemporaine, vol.4, n°56, 2009, p.7-38.
[*12] - È evidente che nessuno di questi approcci costituisca un campo omogeneo. Tuttavia, in ciascuno di essi si trova un tipo di discorso che costituisce un oggetto di studio specifico.
[*13] - Estratto dallo statuto di Sierra Club dal titolo «Our Wild America» ( http://content.sierraclub.org/ourwildamerica/about )
[*14] - Vedi fra l'altro John BELLAMY FOSTER, Marx’s ecology, materialism and nature, Monthly Review Press, New York, 2000 et en français, Marx écologiste, Éditions Amsterdam, Paris, 2011.
[*15] - Karl MARX, 1983, Le Capital, Livre 1, trad.coll. Sous la direction de J.P. Lefebvre, Paris : Éditions sociales, p. 791, note 186
[*16] - Philippe DESCOLA, Par delà Nature et Culture, Gallimard, NRF, Paris, 2005
[*17] - Émilie HACHE, Écologie politique, Cosmos, communautés, milieux, Amsterdam, Paris 2012, p.14.
[*18] - Ivi, p.13.
[*19] - CI si può qui riferire secondo dei registri differenti al lavoro di: Mike DAVIS, Late Victorian Holocaust,Verso, Londres, 2000 ; Jason W. MOORE, « Capitalism as World-Ecology: Braudel and Marx on Environmental History ». Organization & Environment 16(4), 2003, 431-458 ; Alf HORNBORG, Global Ecology and Unequal exchange, New-York, Routledge : 2011.
[*20] - Bruno LATOUR, Politiques de la nature, La Découverte, Paris, 1999.
[*21] - L'espressione è evidentemente di origine hegeliana e non è per niente eccezionale in Marx. Si veda fra l'altro, Karl MARX, Le capital, Livre I, Chapitre 4 « Transformation de l’argent en capital ». Dardot e Laval insistono sulla natura profondamente hegeliana del modello marxista di sistema: il sistema assorbe ciò che gli era estraneo e lo presupponeva; vedi voir notamment Pierre DARDOT et Christian LAVAL, Marx, prénom Karl, Gallimard, Paris, 2012. In termini hegeliani, il sistema produce le sue presupposizione che per primo si era trovato davanti. Vedi: G.W.F. HEGEL, La Science de la Logique, trad. Jarczyk G., Labarrière J.-L., Aubier, Paris, 1981 ; soprattutto t. 2, La doctrine de l’essence.
Ci sembra che la categoria di natura nell'analisi marxiana del processo lavorativo possa essere pensata secondo questo modello. La natura è il presupposto del processo di produzione che viene allo stesso tempo posto come natura da questo processo stesso. Al di fuori di questo processo la natura può essere compresa come il prodotto di una storia naturale-umana. È questo a nostro avviso il senso della citazione di Marx da Il Capitale, p.203: «Gli animali e le piante, che si è soliti considerare come dei prodotti della natura, sono di fatto non solo dei prodotti del lavoro, forse del lavoro dell'anno precedente ma anche nella loro forma attuale, prodotti di una trasformazione continuata attraverso numerose generazioni, sotto il controllo dell'uomo e attraverso la mediazione del lavoro umano».
[*22] - Alfred SOHN-RETHEL, « Travail intellectuel et travail manuel », in La pensée-marchandise, Les éditions du croquant, Paris, 2010, p. 127.
[*23] - Vedi Philippe DESCOLA, Par-delà Nature et culture, Gallimard, NRF, Paris, 2005.
[*24] - Karl MARX, Le Capital, Livre 1, op.cit., p. 201.
[*25] - Karl MARX, Le Capital, op. cit., p.203.
[*26] - Alfred SOHN-RETHEL, op.cit.
[*27] - Vedi David HARVEY, 2003, The new imperialism, Oxford : Oxford University Press.
[*28] - Alfred SOHN-RETHEl, « Travail intellectuel et travail manuel. Essai d’une théorie matérialiste », in La Pensée-Marchandise, Éditions du Croquant, Boissieux. 2010.
[*29] - L. LOHMANN, (2010), Uncertainty markets and carbon markets. Variations on polanyian themes », New Political Economy, vol. 15, n°2, p. 232
[*30] - Alfred SOHN-RETHEL, op.cit., p.143.
[*31] - Ivi, p.144.
[*32] - Karl MARX, Le Capital, Procès de travail, p.199 : L'uomo « si presenta di fronte alla materia naturale come se fosse egli stesso una potenza naturale».
[*33] - Vedi in particolare Emilie HACHE, op. Cit. Non entreremo qui nel dibattito aperto da James C. Scott con Frantz Fanon sul carattere coloniale e capitalista, o solamente statalista, di questa costruzione della natura. Partendo da una citazione di Fanon ne I Dannati della Terra, l'antropologo libertario gli oppone l'idea che tale costruzione della natura è propria degli Stati e della loro volontà di cartografare dei territori, e non solo alle politiche imperialiste degli Stati coloniali: «Il mio unico disaccordo con l'osservazione acerba di Fanon a proposito del progetto coloniale attiene al fatto che esso, almeno per quel che concerne "la brousse" e "les indigènes", si applica benissimo anche alle epoche precoloniali e postcoloniali. L'espansione ed il popolamento dello spazio statale "leggibile" non poteva che rivelarsi difficile, data l'esistenza di frontiere aperte.» Vedi James C. SCOTT, Zomia, ou l’art de ne pas être gouverné, Seuil, Paris, 2013. Ringrazio Stany Grelet per avermi fatto conoscere questo passaggio.
Articolo tratto da Période
Fonte: blackblog francosenia
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