di Fabrizio Salvatori
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel 2015 i sussidi alle fonti fossili sono stati pari a 5.300 miliardi di dollari (10 milioni di dollari al minuto), quanto il 6,5% del PIL mondiale e più della spesa sanitaria totale di tutti i governi del mondo. Hanno visto un aumento del 10,4% rispetto al 2013, crescita che in Europa è stata superiore alla media globale; inoltre si prevede un ulteriore incremento del sostegno alle fonti fossili dell’11,6%, con 231 miliardi di dollari di investimento. Per quanto riguarda l’Italia, Legambiente ha individuato 14,8 miliardi di euro all’anno di sussidi diretti o indiretti alle fonti fossili, al consumo o alla produzione: da esoneri dall’accisa a sconti e finanziamenti per opere, distribuiti tra autotrasportatori, centrali per fonti fossili e imprese energivore e aziende petrolifere.
“Tutte attività che inquinano l’aria, danneggiano la salute e sono la principale causa dei cambiamenti climatici”, ha affermato l’associazione ambientalista. Vi sono, inoltre, altri sussidi indiretti che non sono stati inseriti nel computo, perché ancora di incerta applicazione o perché difficilmente paragonabili con gli altri, come le risorse investite dallo Stato in strade e autostrade.
“Tutte attività che inquinano l’aria, danneggiano la salute e sono la principale causa dei cambiamenti climatici”, ha affermato l’associazione ambientalista. Vi sono, inoltre, altri sussidi indiretti che non sono stati inseriti nel computo, perché ancora di incerta applicazione o perché difficilmente paragonabili con gli altri, come le risorse investite dallo Stato in strade e autostrade.
Legambiente, nel suo dossier “Stop sussidi alle fonti fossili”, presentato in occasione della Cop22, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in corso a Marrakech, ha realizzato un monitoraggio mondiale in collaborazione con InfluenceMap,organizzazione internazionale indipendente senza scopo di lucro nata con l’obiettivo di valutare e comunicare il peso che le imprese hanno nei settori chiave della politica e della società civile. “Il nostro Paese”, ha detto il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini , “continua a comportarsi come se il problema dei sussidi alle fonti fossili semplicemente non esistesse, quando tutte le istituzioni internazionali hanno messo in evidenza come siano una barriera per lo sviluppo di un economia decarbonizzata. Anche la legge di Stabilità 2017 ignora l’argomento e prevede ancora sussidi diretti e indiretti alle fossili. Eppure, oggi le energie pulite sono competitive da un punto di vista dei costi e cancellando questi sussidi potrebbero crescere anche senza incentivi. Né si comprende perché il nostro Paese debba continuare a dare miliardi di euro all’autotrasporto, come ai grandi consumatori, senza alcun vincolo di investimento in riduzione dei consumi di combustibili fossili”.
Secondo l’indagine, in Italia continua a prevalere una sorta di negazionismo, per cui in nessun atto del Ministero dello Sviluppo economico o dell’Autorità per l’energia il tema viene nominato, mentre troviamo sempre accuse sui costi in bolletta legati alle fonti rinnovabili. “La ragione”, prosegue Zanchini, “è molto semplice da spiegare: in questo modo si tutelano direttamente alcuni interessi che beneficiano di questi sussidi, tra cui lo stesso Stato italiano, attraverso l’Eni che paga royalties ridicole alle Regioni e che può dedurre dalle tasse. Ma in questo modo si bloccano innovazioni nel sistema energetico che oggi permetterebbero di creare nuovi e più numerosi posti di lavoro e di dare una risposta strutturale al tema del costo dell’energia, attraverso le fonti rinnovabili e l’efficienza”.
Secondo l’ultimo rapporto di InfluenceMap, tra i paesi del G7 l’Italia è quello con i maggiori sussidi alle fonti fossili in rapporto al PIL. Siamo allo 0,63% a fronte di una media europea dello 0,17% e molto oltre lo 0,20% degli Stati Uniti e lo 0,23% della Germania. “Eppure”, spiega Legambiente, “pochi Paesi al mondo avrebbero più interesse a ridurre i consumi energetici: l’Italia dipende dall’estero per l’approvvigionamento e nel 2015 ha speso 34,4 miliardi di euro, calcolando il saldo fra l’esborso per le importazioni e gli introiti derivanti dalle esportazioni”. Legambiente chiede, quindi, al governo Renzi coerenza rispetto agli annunci e alle promesse fatte alle Nazioni Unite e alla Conferenza sul Clima di Parigi, e avanza alcune proposte su come lanciare un grande programma di investimenti nella green economy con un intervento a “costo zero” per le casse dello Stato.
“Cancellare i sussidi alle fonti fossili”, conclude Zanchini, “è infatti la strada più semplice e lungimirante per aprire nel nostro Paese uno scenario d’innovazione, con maggiori opportunità e lavoro perché si allarga lo sguardo dalla bolletta energetica a un uso più efficiente dell’energia in edilizia, nell’artigianato e nei servizi, nelle piccole e medie imprese e nei trasporti. Chiediamo a Renzi di vincere le pressioni delle lobby e di cancellare rendite e sussidi di cui beneficiano le fonti fossili. Dopo la vittoria negli Stati Uniti di Trump, il mondo ha bisogno di scelte chiare per fermare i cambiamenti climatici. Prendere questa decisione prima della chiusura del vertice di Marrakech, può essere una straordinaria occasione per far assumere all’Italia un ruolo da protagonista nell’impegno contro i cambiamenti climatici in Europa e nel mondo”.
Legambiente spiega che con il trend attuale delle emissioni globali, già nei prossimi 5-9 anni si consumerà il carbon budget, ossia la quota di emissioni complessive rimanenti che consentirebbero di stare entro 1.5°C. “Per questo a Marrakech è fondamentale avviare un processo di revisione degli attuali impegni, in coerenza con l’obiettivo di lungo termine dell’Accordo di Parigi da sottoscrivere nel 2018 alla COP24. Anche l’Europa è chiamata a fare la sua parte: il processo legislativo avviato a livello comunitario sul “Pacchetto Clima-Energia 2030” deve essere l’occasione per adeguare gli obiettivi agli impegni europei assunti a Parigi, in tempo per la revisione del 2018”.
Fonte: controlacrisi
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