La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 17 novembre 2016

L’ultima capriola di Renzi: il finto “veto” sul bilancio europeo

di Contropiano
All'ultima curva, prima del traguardo referendario che si annuncia per lui catastrofico (anche una sconfitta di misura lo sarebbe), Matteo Renzi si lancia in un sorpasso azzardato che potrebbe mandarlo fuori pista in ogni caso. Ha infatti mandato il suo fido sottosegretario alla presidenza del consiglio, Sandro Gozi, a minacciare il veto sul bilancio dell'Unione Europea. Tecnicamente si tratta solo di una “riserva formale” sulla revisione del bilancio, tuttora in corso. Un ditino alzato, dunque, non un “veto” dagli effetti destabilizzanti. Ma è stato venduto dallo stesso Gozi e da Renzi come un'atomica sul tavolo di Bruxelles.
L'intento è così trasparente che anche il giornale di Confindustria – come potete leggere qui sotto – è obbligato a sottolinearne la natura e i rischi.
Nessuno ovviamente crede che quel ditino alzato si trasformerà in un niet. Si tratta di una mossa solo elettorale, che durerà fino al 4 dicembre, all'orario di chiusura delle urne. Ma anche solo il fatto che un primo ministro di un paese-chiave della Ue sia costretto a giocare la carta dell'”antieuropeismo” la dice lunga sulla crisi di legittimità che l'Unione Europea – la struttura semi-statuale, centralizzata e burocratica, non “l'Europa” della retorica – sta vivendo agli occhi delle popolazioni di tutto il Vecchio Continente. E chiunque voglia i voti – finché saranno le elezioni il criterio di legittimità di un governo – se li deve conquistare distinguendosi dal coro “europeista”, che infatti conta sempre menovocalist.
Il margine di manovra per Renzi è dunque strettissimo: “deve” fare la parte di quello che batte davvero i pugni sul tavolo. Ma non può batterli davvero, altrimenti – se per caso dovesse vincere il “sì” e dunque restare in sella – si troverebbe di fronte un atteggiamento assai meno tollerante da parte delle istituzioni di Bruxelles, che fin qui hanno fatto da spalla compiacente alle mattane del “solito italiano”.
Ma anche se soltanto recitato, quel copione euroscettico cerca in qualche misura di corrispondere a un sentimento ormai dilagante, in Italia come altrove. E' infatti definitivamente finita la stagione in cui le figure sociali “progressiste” potevano identificarsi ciecamente con “l'Europa”, vissuta come l'ambiente civile che avrebbe permesso anche alla disastrata Italia (tra Berlusconi e le mafie) di superare le sue tare storiche. Un quarto di secolo di “parametri di Maastricht” e 15 anni di moneta unica, dieci di austerità, hanno sradicato quella fiducia basata su chiacchiere e propaganda, squadernando una realtà ben più triste.
Naturalmente, se tutti i principali protagonisti delle vite politiche nazionali – persino in Germania – debbono ormai fare i conti con l'impopolarità della Ue, ne deriva che quell'istituzione sovranazionale viene sottoposta a pulsioni centrifughe di potenza crescente.
Non c'è insomma spazio per “un'altra Europa” se non smantellando l'Unione Europea costruita sui dedierata del capitale multinazionale.
Basta ricordarsi, o almeno accorgersi, che su questo fronte si muovo due opzioni radicalmente opposte: quella del capitale “impossibilitato a diventare multinazionale” (per limiti dimensionali o di mercato) e i lavoratori di qualsiasi tipologia contrattuale.
Renzi, all'ultima curva, prova a fascinare seguaci e sponsor di Salvini, per vincere il referendum. Dopo di che, chiunque sieda a Palazzo Chigi avrebbe un potere blindato e assoluto.
Questa la ragione principale per cui dobbiamo continuare a spingere per non impossibile vittoria del NO.

Fonte: contropiano.org 

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