La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 18 novembre 2016

"Governabilità" è il contrario di "Democrazia"

di Thomas Müntzer
Sulla necessità di un "NO sociale" a questo referendum e alle politiche del governo Renzi siamo già intervenuti lo scorso 21 ottobre, il giorno dello sciopero generale indetto da alcuni sindacati di base. Sapevamo già allora quali fossero le difficoltà di far vivere una pratica di No sociale, al di là dello slogan, in una fase di scarsa vivacità e visibilità della mobilitazione sociale. D'altra parte proprio l'assenza di una mobilitazione sociale forte, coordinata e offensiva indebolisce la campagna referendaria per il No, già resa ambigua dallo schieramento disomogeneo e in buona parte politicamente infrequentabile.
Perché il No sociale non è solamente una questione di mobilitazione, ma riguarda il contenuto della cosidetta "riforma" della Costituzione, in alcuni suoi punti fondamentali.
Abbiamo già detto che non ci riguarda la retorica della "Costituzione più bella del mondo", e nemmeno abbiamo il tabù dell'intoccabilità della stessa Costituzione, che rimane per noi un compromesso politico e sociale tra le forze politiche del dopoguerra, che ha permesso lo sviluppo del capitalismo italiano e il consolidamento di istituzioni democratiche basate sulla delega e una scarsa partecipazione popolare.
Ma sappiamo bene che la partita che abbiamo di fronte il 4 dicembre non è quella di una semplice "revisione" costituzionale, per quanto discutibile e alla quale opporsi. In gioco c'è la sanzione della progressiva trasformazione delle istituzioni repubblicane in una direzione autocratica e di preminenza degli esecutivi rispetto alle aule parlamentari - e ancora di più della volontà popolare.
Il nodo è quello della "governabilità". Come scrive Luigi Ferraioli. "Che cosa vuol dire governabilità? Nel lessico dei nostri governi, non soltanto in Italia, governabilità vuol dire onnipotenza dell’esecutivo rispetto al Parlamento e ovviamente rispetto alla società; vuol dire mani libere, possibilità di aggredire lo Stato sociale, possibilità di aggredire la scuola, aggredire la sanità, sulla base unicamente di un consenso senza alternative [...] che richiede non, come vorrebbe l’articolo 49, il concorso dei cittadini nel determinare la politica nazionale, ma semplicemente il consenso degli spettatori al meno peggio. Al meno peggio significa che tutti devono assomigliarsi, perché non ci sono alternative, perché la politica dei mercati è una sola, la politica si sta trasformando in tecnocrazia, in modo tale che non si spiega perché ci debba essere un ceto politico di un milione di persone che evidentemente è diventato totalmente parassitario perché deve soltanto eseguire i dettami dei mercati."
In questo senso dobbiamo essere chiare/i: la qualità politica del voto del 4 dicembre non è tanto o solamente la permanenza al governo di Renzi e del suo entourage. E' la direzione politica che viene espressa in maniera compiuta da questo governo, che ha potuto approfittare della crisi politica che ha prima portato alla caduta di Berlusconi e alla nascita del governo Monti e poi alla resistibile ascesa di Matteo Renzi, con il contributo determinante di Giorgio Napolitano, garante della volontà della classe diigente europea.
Quando sosteniamo la necessità di votare No "contro Renzi", non cadiamo nel gioco poco interesante della personalizzazione - per quanto possa esserci antipatico questo personaggio - ma vogliamo sottolineare il carattere direttamente e profondamente politico della "riforma".
Votare NO "contro Renzi" per noi significa impedire che possa legittimarsi e istituzionalizzarsi un modello governativo che concentra in capo al Consiglio dei ministri e al suo presidente sia il potere esecutivo che il potere legislativo (si pensi all'introduzione in Costituzione del c.d. "voto a data certa" con il quale è il governo ad imporre il calendario di discussione e votazione al parlamento, arrogandosi quindi, la funzione di indirizzo politico, da sempre in capo al Parlamento) instaurando una forma di Governo che molti costituzionalisti hanno definito "premierato assoluto".
In questo senso, per quanto avessero solide motivazioni di rispetto costituzionale, i tentativi di "spacchettamento" dei quesiti non hanno avuto successo perché il 4 dicembre non si voterà su singole modifiche costituzionali, ma su una nuova costituzione formale, dopo che la costituzione materiale in questi anni ha già percorso le strade della politica delle emergenze, del rispetto delle decisioni "comunitarie", della costituzionalizzazione del primato dell'economia sulla politica. (A questo proposito, per quanto si tratti di una sciocchezza di fronte alla pesantezza delle modifiche, è interessante notare il comma e) del nuovo articolo 117, che specifica il potere legislativo dello Stato - cioè del governo - nella "tutela e promozione della concorrenza", dove nell'articolo modificato si parlava solo di "tutela della concorrenza").
Queste modicìfiche, lo ripetiamo, sono state da tempo introdotte surrettiziamente nella pratica di governo e nei comportamenti politici degli esecutivi negli ulti i decenni. Per citare ancora Luigi Ferraioli "Già oggi, tra decreti-legge, leggi delegate e leggi di iniziativa governativa, circa il 90% della produzione legislativa è di fonte governativa. La cosiddetta revisione equivale alla costituzionalizzazione e al perfezionamento di questo processo di verticalizzazione e concentrazione dei poteri nell’esecutivo, al quale essa assegna corsie privilegiate e tempi abbreviati - l’approvazione entro settanta giorni - per i disegni di legge 'indicati come essenziali per l’attuazione del programma di governo'. Già oggi, grazie alle mani libere dei governi, si è prodotto un sostanziale processo decostituente in materia di lavoro e di diritti sociali..."
Abbiamo sentito in queste settimane persone intelligenti, sinceramente schierate a sinistra, esprimere il proprio disinteresse per il referendum, che riguarderebbe "semplicemente" la forma istituzionale di uno stato che comunque è contro i più deboli. Questo atteggiamento è profondamento sbagliato. Se vince il Si, non ci sarà sicuramente una caduta nel fascismo, ma le lotte sociali, territoriali, ambientali, saranno più complìcate, perché verranno trattate sempre più come impedimenti al dispiegamento dell'"interesse nazionale", categoria, che prevede un accentramento legislativo nei confronti delle stesse autonomie locali.
Nel nuovo articolo 117 si legge che "Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale". In alcuni commi precedenti si specifica che lo stato (cioè il governo) "avrà legislazione esclusiva in materia di u) disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; sistema nazionale e coordinamento della protezione civile; v) produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia; z) infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale."
In questo modo si cerca di rendere sempre più deboli le lotte territoriali dove invece in questi anni si è espressa la volotà di un controllo dal basso delle scelte strategiche.
Sappiamo bene che il referendum del 4 dicembre non rappresenterà un momento "costituente" di una nuova politica e che servirà una forte ripresa del movimento sociale per risalire la china della partecipazione e riappropriazione sociale. Il successo del Si renderebbe però più difficile quella ripresa.
Naturalmente non basta attestarsi su questo, come legittima difesa. Abbiamo bisogno di creare nuova democrazia e nuova partecipazione, di fronte ad una crisi dei partiti - anche quelli che si vorrebbero radicali e alternativi - che li rende oggi inservibili ad ogni progetto di trasformazione sociale e politica. Sappiamo bene che servirebbe un "processo costituente" che costruisca legittimità politica e giuridica ai processi di autogestione, alle consultazioni e assemblee popolari, agli strumenti di democrazia direttada costruire dal basso ecc.
Questa costruzione avviene quotidianamente nelle tante sperimentazioni sociali e nei movimenti di lotta e di resistenza - ma è stata assente in questa campagna elettorale in cui Renzi si presenta come il "nuovo" (mentre, come abbiamo detto, formalizza solo una pratica ventennale). Ma qualcosa di realemnte nuovo può nascere dal basso e dobbiamo provare a costruirlo. A cominciare dalla vittoria del No ovviamente.

Fonte: Communianet.org 

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