di Guido Castelli
Spiace che il referendum costituzionale possa diventare un referendum pro o contro Renzi. Se l'è cercata lui, fin dall'inizio, personalizzando oltre ogni limite di buon senso, ma la Carta costituzionale è più importante di lui, non me ne voglia! Spiace la retorica che vorrebbe dividere il Paese tra progressisti (quelli che voteranno sì) e retrogradi più che conservatori (quello che voteranno no). Spiace la propaganda che addirittura aggancia la ripresa economica al Sì e l'aumento dello spread al No. Sarebbe da dire: basta! Basta con le provocazioni e con le falsità. Parliamo dei quesiti. Anzi, del quesito unico e confuso. Un collega sindaco in questi giorni ha detto che sarebbe stato più utile spacchettare i quesiti, moltiplicarli in relazione ai tanti temi di modifica del testo costituzionale.
Qualche sì, magari, lo avremmo condiviso. È l'insieme che diventa indigesto. E visto che è la somma che fa il totale - citando Totò - il risultato è un no. Chiaro e forte. Soprattutto se la domanda unica è sottoposta a un sindaco. E quindi alla comunità che si trova ad amministrare con il doveroso e sacrosanto spirito di autonomia e secondo l'irrinunciabile principio di sussidiarietà.
Un sindaco italiano, di una città piccola o grande poco importa, che dichiari il suo sì a tutto l'impianto di modifica costituzionale - la parola "riforma" non la uso, sembra che sia sempre positiva una riforma, le "modifiche" invece ahimé possono essere peggiorative, come in questo caso - mi pare somigliare a un tacchino chiamato a far festa a Natale. Dice sì a norme che limitano l'autonomia locale.
Quindi che lo rendono meno responsabile, meno misurabile dai suoi cittadini, meno capace di dimostrarsi capace. Io non voglio fare il sindaco così. Non voglio essere un semplice esecutore di ordini dal Governo centrale. Abbiamo eseguito molti ordini in questi ultimi cinque-sei anni, abbiamo tagliato bilanci (per oltre 13 miliardi di euro), abbiamo ridotto i servizi per i cittadini, abbiamo tassato per ridurre il debito pubblico nazionale. Ma avevamo la consapevolezza di essere in una "economia di guerra".
Una condizione eccezionale, cui i sindaci italiani - e per loro tramite le comunità cittadine - hanno risposto più e meglio di ogni altro amministratore pubblico. Non temo smentite. Ma vedere che nella nuova Costituzione questa eccezionalità diventa norma lo trovo inaccettabile.
La modifica dell'articolo 119 ci farebbe tornare alla finanza derivata, al centralismo statale senza contrappesi. Finiremmo per trasformare i sindaci in irresponsabili esecutori di indicazioni di Governo. Diventeremmo tanti commissari di Governo.
Ma per queste funzioni esecutive ci sono già i prefetti. Il No dei sindacidovrebbe essere unanime, trasversale, pre-politico. Come alla modifica pasticciata del Senato sarebbe stato preferibile la sua definitiva chiusura, così invece che un maldestro attacco a sussidiarietà e autonomia sarebbe stato più coerente un'abolizione dei sindaci e di ogni ente locale.
Non si sarebbero risparmiati molti soldi, visto che il compenso dei sindaci è mediamente inferiore a un quarto, un quinto, di quello dei parlamentari, ma almeno si sarebbe risparmiata la faccia. Noi la nostra, quella dei sindaci che vogliono farsi giudicare con responsabilià e autonomia per quello che fanno, la vogliamo conservare. La vera riforma è dire no a questo progetto centralizzatore e autoritario.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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