di Norma Rangeri
Il No ha vinto. La fanfara dei sondaggi ieri annunciava la vittoria su tutti i giornali. Dovessimo credere alle percentuali sfornate dalla malconcia categoria dei sondaggisti, il No avrebbe già vinto con almeno 6 punti di vantaggio. Naturalmente la notizia era accompagnata da ponderose riflessioni e acute cronache sugli esiti catastrofici che ne seguirebbero. Governicchio, spread, Pd in rapida dissoluzione, banche in vendita senza acquirenti. Dare in vantaggio il No e prevedere le cavallette dei mercati pronte a dare l’assalto alla nostra fragile ripresa economica faceva parte del medesimo quadro.
Quasi un ultimo appello per questi quindici giorni che ancora ci separano dal voto del 4 dicembre. Una chiamata alle urne rivolta a indecisi e astensionisti: per evitare il peggio «Basta un Si». Un invito al quale è sembrata volersi associare anche Bankitalia, con il suo Rapporto sulla stabilità finanziaria a rischio «con un aumento della volatilità attesa sulle azioni italiane nella prima settimana di dicembre».
Meglio lasciarli stare i sondaggi, meglio non fidarsi di queste fanfare che chiamano il popolo a raccolta per fare argine ai populisti cattivi che, se vincesse il No, prenderebbero il potere e il governo gettando il paese nel caos, e la politica nelle mani di «quelli attaccati alla poltrona».
Chi ha seguito il presidente del consiglio nei comizi elettorali e lo ha visto sui palcoscenici dei teatri con il microfono in mano facendo il verso ai politici che vogliono conservare il posto e lo stipendio, imitandone la voce e la postura, dovrebbe finalmente convincersi che il populista al governo già ce lo abbiamo, applaudito come unico leader da Berlusconi.
Convocata a Palazzo Chigi, ieri la stampa ha potuto ascoltare dal segretario-presidente che tutto dipende da questi ultimi giorni di battaglia. Renzi mostra di non credere ai sondaggi e si dichiara convinto che andranno a votare in molti, che i giochi sono tutti aperti. Quanto alle conseguenze di una sconfitta, la risposta del leader diventa vaga, di stampo democristianissimo: «Verificheremo la situazione politica».
Mille giorni a palazzo Chigi e 100 milioni di voucher (dato di settembre) rendono ottimista il presidente del consiglio sulla direzione del mercato del lavoro.
Le progressive diminuzioni di contratti a tempo indeterminato gli fanno dire che c’è stata la svolta sull’occupazione.
E saranno i numeri sull’attesa di vita che diminuisce al sud a dargli la certezza che si è invertita la tendenza all’impoverimento di milioni di famiglie italiane.
Alla fine, tra tante fanfare, ce n’è una che sembra, invece, più attendibile, perché ben piantata nella cabina di regia di Francoforte. È la conferma, che arriva da Mario Draghi, del quantitative easing, la rete a sostegno anche del nostro debito, con l’annuncio della decisione di prolungare l’acquisto di titoli, 80 miliardi al mese, fino al marzo 2017.
In teoria tutto il tempo per ammortizzare l’esito dell’auspicabile bocciatura della riforma, per scrivere una legge elettorale e finalmente dirigerci verso le elezioni.
Fonte: il manifesto
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