di Franco Astengo
L’uso smodato e incauto del termine “populismo” da parte del concerto stonato dei mezzi di comunicazione di massa induce a ricercare, per quanto se ne possa essere capaci, la nozione di populismo nella sua più esatta definizione dal punto di vista della scienza politica. Per quanto riguarda la parola populismo, bisogna ricordare prima di tutto che questa parola è arrivata nella lingua italiana dalla lingua inglese, da populism. Ma la parola era nata in realtà in Russia e la parola originaria, poi tradotta nella lingua inglese, era la parola russa narodnicestvo. Ricordo che narod in russo significa popolo.
Quella parola indicava un movimento di giovani intellettuali che, alla fine dell'Ottocento, aspiravano a una sorta di socialismo e di uguaglianza soprattutto da estendere ai contadini russi in opposizione allo strapotere degli zar.
Quella parola indicava un movimento di giovani intellettuali che, alla fine dell'Ottocento, aspiravano a una sorta di socialismo e di uguaglianza soprattutto da estendere ai contadini russi in opposizione allo strapotere degli zar.
Infatti il populismo muove da una posizione adulatoria e da esso nascono proposte politiche tendenti a svolgere soltanto una funzione strumentale, perché dirette esclusivamente a perseguire obiettivi di mera conquista e conservazione del potere da parte di chi avanza tali proposte in nome del popolo.
Il fenomeno del populismo è stato, nel tempo, caratterizzato da alcuni elementi quali l’esistenza di una situazione socio-economica in rapido mutamento come è considerata l’attuale nella transizione dal post – industriale alla comunicazione globalizzata e individualistica (visione però probabilmente già in ritardo con la storia che sta assistendo al ritorno della geopolitica classica e a forti tensioni protezioniste) e dall’emergere di un leader carismatico, che si presenta come portavoce delle esigenze del popolo; la mobilitazione delle masse da parte del leader attraverso l’esaltazione dei valori nazionali e l’instaurazione con esse di un rapporto diretto, non mediato dalle istituzioni tradizionali (dispregio del Parlamento e dei corpi sociali intermedi).
Da ricordare ancora come il concetto di democrazia senza intermediazione postulato dal populismo si è pure proiettato, dopo esperienze di democrazia diretta opposte a quelle di democrazia rappresentativa sul fascismo.
Oggi questo tipo di proiezione dal populismo al fascismo può ben essere identificata e definita come di “nazionalpopulismo”.
Quella di “nazionalpopulismo” come definizione può comprendere la parte della destra americana che ha promosso la recente elezione del nuovo Presidente (gli USA vantano una lunga tradizione in questo senso, addirittura fra il 1891 e il 1912 era presente un Partito Populista); molte parti anche maggioritarie nei sistemi politici dei paesi europei dell’Est già appartenenti al Patto di Varsavia; il Front National in Francia; pezzi importanti dei sistemi politici tedesco ed olandese; i settori maggioritari nel sistema politico italiano, sia dalla parte di chi sostiene il SI’ nel referendum (la parte del PD che appoggia il governo), sia dalla parte di chi sostiene il NO (M5S, Lega Nord oltre ai fascisti veri e propri pur mascherati), altri movimenti operanti nei Balcani (il populismo è servito anche a Syriza per arrivare al governo, laddove si è trasformata in un soggetto filo – austerity).
Molto complicato, sotto questo aspetto, il quadro sudamericano laddove storicamente risiede buona parte della matrice del populismo novecentesco, dal peronismo in Argentina al getulismo in Brasile.
Tornando alla situazione italiana è davvero singolare che il Governo promotore delle deformazioni costituzionali che saranno sottoposte al referendum confermativo convocato per il 4 Dicembre prossimo lanci sugli avversari l’accusa di populismo, quando è proprio dallo stesso Governo (in continuità con governi precedenti) che se ne irradiano le proposizioni peggiori.
A questo proposito si pensi alla vera e propria “furia iconoclasta” che ha ispirato queste deformazioni costituzionali (in particolare al riguardo del bicameralismo e delle province); all’idea di distruzione dei “corpi intermedi” dai sindacati, alle stesse associazioni imprenditoriali, fino al sistema delle autonomie locali e all’idea di cancellare il bilanciamento di poteri tra diverse istituzioni rappresentative anche a livello centrale, come nel caso del Senato.
Funzione adulatoria e “furia iconoclasta” insite nel populismo, che risultano, però, del tutto fuorvianti rispetto alla necessità di risolvere i problemi complessi di una società moderna e soprattutto ad affrontare i nodi complessi presenti nell’intrecci tra contraddizioni che emerge nella modernità.
Il concetto di popolo nel populismo non è razionalizzato, ma piuttosto intuito o postulato apoditticamente.
Anzi se vi è chi scrive che il populismo è una “sindrome”, si può dire che al populismo non corrisponde un’elaborazione teorica organica e sistematica.
Elementi fondamentali del populismo appaiono essere così l’appello alla nazione regolarmente svolto da Renzi (che ieri ha addirittura parlato di “maggioranza silenziosa” che, nella tradizione italiana appartiene alla destra estrema di Degli Occhi e De Carolis) contrapposto all’appello al popolo che ha rappresentato il cavallo di battaglia di Berlusconi (il discorso del predellino) e di Grillo (il “vaffa” ripetuto al momento dell’elezione di Trump).
In queste condizioni quale può essere allora individuato come il pericolo principale?
Il pericolo principale è senz’altro quello di queste deformazioni costituzionali che aprirebbero la strada definitivamente ai revanscismi iconoclasti che putano a ridurre ancor di più gli spazi di democrazia rappresentativa e preparare un quadro di collegamento con la possibilità che una sola lista ottenga la maggioranza assoluta alla Camera disponendo circa del 20% dei voti sul totale del corpo elettorale.
A quel punto la lista di minoranza relativa aggiudicataria della maggioranza assoluta si troverebbe davvero nella condizione di esercitare oggettivamente un potere assolutistico di stampo personale, con l’opposizione parlamentare ridotta al ruolo di “tribuna”.
Si tratta di un nazionalpopulismo legato ad un’idea quasi “futurista” da anni ’10 con una visione salvifica del ruolo della Nazione.
Il rischio è quello che, approvata la deforma, l’intero sistema si avvii verso una frontiera di tipo nazionalpopulismo logicamente e oggettivamente autoritario e soltanto il NO può fermare questa deriva.
Fonte: Contropiano.org
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