di Vincenzo Vita
Caro Fazio, e ora voglio vedere che mi dici. Così esordì all’incirca l’anno scorso in una puntata di «Che tempo che fa» Sabrina Ferilli, dopo che nella puntata precedente l’affermato conduttore si era dilungato in lodi sperticate verso Monica Bellucci. E, ora, analoga domanda si potrebbe rivolgere allo stesso Fazio dopo l’ospitata lunga più di mezz’ora – la passata domenica 13 – del presidente del consiglio Matteo Renzi. Attenzione al «contesto» che è importante non meno del «testo». Il traino di ascolto ha avuto come protagonista di eccezione i Coldplay, famoso e gettonato.
Prima dei musicisti britannici era stato intervistato Toni Servillo, in vetta oggi al gradimento nel e del mondo dello spettacolo. Insomma, una domenica particolare, costruita per diventare un media event, di quelli cui la televisione generalista è usa ricorrere per incrementare l’ascolto.
Ascolto è pubblicità, almeno fino a quando qualche manina deciderà magari di abbassare nella nuova convenzione con lo stato gli indici di affollamento del servizio pubblico.
Ecco, quindi, che la saga infinita della par condicio si arricchisce di una ulteriore puntata.
Se è verosimile che la prossima trasmissione proverà a riequilibrare le presenze del Sì e del No, l’interrogativo che si pone alla Rai è sul come.
Dovrà essere invitata una personalità omologa, altrettanto emblematica e significativa, dello schieramento contrario alle modifiche della Costituzione.
Non solo. Pure il contesto di consumo, come dicono gli esperti e gli studiosi, avrà da essere per lo meno simile. Quale figura della cultura inviterà Fazio? Forse Luca Zingaretti? E quale gruppo musicale? Forse i Radiohead, per trovare una qualche analogia? Deciderà la redazione con il conduttore e non si vuole improvvisare un rischiatutto. Tuttavia, qui si valuta davvero il rispetto della normativa del 2000 sulle pari opportunità. L’azienda di viale Mazzini si coprirebbe di ridicolo, tra l’altro, se si sfogasse con i dinieghi a ospiti e collaboratori «rei» di avere firmato un appello per il No, e permettesse – invece – l’incoronazione di Renzi.
In verità, siamo vicini alla beatificazione mediale dell’aspirante «premier assoluto», presente trasversalmente nella strisciata informativa quotidiana. Sempre e ovunque, pubblico o privato che sia il canale. Non a caso le vecchie metodologie di rilevazione (tempo di antenna e tempo di parola) sballano. Perché non viene conteggiato o è sottodimensionato il governo, con alla testa del corteo dei megafoni digitali proprio Renzi: in tutte le salse, con l’abito del presidente, con le vesti del segretario di partito o – persino – del comitato del Sì. Il flusso delle news è profondamente sbilanciato dalla situazione davvero straordinaria che si è determinata. Un unicum, che neppure nell’era berlusconiana si era visto.
Nel frattempo, Renzi viene cancellato da Mediaset, che non ha permesso la messa in onda di un efficace servizio delle Iene nel quale si chiedeva conto delle promesse di due anni fa sulle cure per i disabili.
La par condicio utilizzata a piacimento, con cinica strumentalità. E, sempre nel frattempo, le istituzioni regionali stanno spesso in campo come giocatori e non come arbitri.
Stiamo entrando nella fase finale della lunghissima campagna referendaria.
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni verrà ricordata per gli atti e le per le omissioni. Si tratta dell’alta magistratura del sistema delle comunicazioni. Proprio il tema delicato della tutela del pluralismo ne costituisce l’ontologia.
Fonte: Il manifesto
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