di Luca Manes
Non c’è pace per il TAP. Sono cosa nota le annose diatribe che vedono da una parte le comunità e le istituzioni locali (tra cui la Regione Puglia) e dall’altra il governo. Nel Salento è fortissima l’opposizione contro il tratto finale del gasdotto che dovrebbe portare il gas dall’Azerbaigian e al contempo rovinare uno dei tratti più belli di costa adriatica. Ma Palazzo Chigi tira dritto e, in nome degli interessi energetici europei, continua a sostenere a spada tratta il progetto. I lavori, però, sono in apparente fase di stallo.
Ma il Consorzio TAP di problemi sembra averne anche in Grecia – val la pena ricordare che l’Albania è il terzo Paese attraversato dall’ultimo segmento del Corridoio Sud del Gas, come è denominato tutto il mega-serpentone di 3.500 chilometri che va da Baku a Melendugno. Inaugurati in pompa magna lo scorso maggio, alla presenza del Premier Alexi Tsipras, i lavori in terra ellenica sono sì iniziati, ma anche in questo caso incontrando una forte opposizione.
L’associazione dei contadini di Kavala ha scritto alla Banca europea per gli investimenti (BEI) per denunciare come le compensazioni per l’espropriazione delle loro terre siano a dir poco inadeguate. Che cosa c’entra la banca di sviluppo dell’UE per un progetto che viene descritto dai proponenti come “al 100% privato”. C’entra parecchio, perché la BEI potrebbe staccare un assegno di ben due miliardi di euro per agevolare la realizzazione del TAP. Un altro miliardo è in ballo per il TANAP, il tratto intermedio del Corridoio Sud del Gas interamente su territorio turco.
Tornando alla Grecia, salta agli occhi un’altra criticità già riscontrata in Salento: la mancata applicazione della direttiva Seveso – che impone a tutti i Paesi membri di identificare i siti a rischio. Non a caso questa mancata ottemperanza a una delle principali norme dell’UE sulla sicurezza è tra le principali preoccupazioni segnalate nei quattro ricorsi alla VIA sottoposti dall’associazione dei contadini della provincia di Kavala, dal comitato dei residenti della provincia di Serres, dalla città di Kavala e dalla cittadina di Doxato. Tutti in attesa di essere discussi al Consiglio di Stato. La pianura che il gasdotto dovrebbe attraversare è tra le più fertili in Europa, ricca di materiale organico e ad alto rischio di autocombustione. «Che cosa succederà ai contadini che lavorano la terra lungo il gasdotto, e a tutte le persone che abitano nelle numerose frazioni, se ci sarà una fuga di gas?» si chiede Themistoklis Kalpakidis, il presidente dell’associazione dei contadini, che abbiamo incontrato lo scorso ottobre. «Sono oltre duecento gli agricoltori e proprietari che hanno rifiutato di firmare i contratti con la Tap», ci ha riferito Kalpakidis. Durante le consultazioni sulla VIA avevano presentato delle alternative concrete, che prevedevano una rotta alternativa, e sono state scartate. «Nessuno ci ha informato sugli impatti reali che questo progetto avrà sulle nostre vite, e che secondo noi è incompatibile con il modello economico esistente» ha continuato l’attivista greco.
In agosto i contadini e il comitato cittadino che si oppone al progetto hanno denunciato l’entrata non autorizzata nei terreni di alcuni degli agricoltori che ancora non hanno firmato alcun contratto con la società, causando proteste in cui è dovuta intervenire la polizia. La società in questione, la JP Avax, avrebbe infatti iniziato a tagliare le colture di mais esistenti lungo il tracciato del gasdotto, la cui costruzione sarebbe ritardata proprio dalle contestazioni.
Intanto negli ultimi giorni ha fatto molto rumore, anche sui media internazionali, il nuovo rapporto della rete di Ong dell’Est Europa CEE Bankwatch. Nella ricerca si evidenzia come due imprese italiane, ovvero la Sicilsaldo e la Renco, siano al momento sotto inchiesta per possibili legami con Mafia. «Le banche europee possono assicurare che fino adesso è stata fatta un’adeguata due diligence delle aziende coinvolte?» si domanda Bankwatch. Usa giustamente il plurale perché oltre alla già citata BEI, per il Corridoio Sud del Gas starebbero per materializzarsi altri 1,5 miliardi di euro dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, mentre a breve la Banca mondiale e l’Asian Infrastructure Investment Bank potrebbero prestare rispettivamente 1,4 miliardi di dollari e 600 milioni di dollari a Turchia e Azerbaigian per il TANAP. Un mucchio di quattrini e soprattutto una forte garanzia politica per un’opera che dovrebbe costare intorno ai 45 miliardi di euro (tuttavia il condizionale è d’obbligo) e che dovrebbe essere completata entro il 2020. Ma visti i tanti problemi sul campo questa scadenza è quanto mai incerta.
Fonte: Left.it
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