di Anna Maria Merlo
Un allevatore ha cercato di spalmare una cacca di mucca sulla faccia di François Hollande, lo stand del ministero dell’Agricoltura è stato distrutto, la polizia è intervenuta, c’è stato un ferito lieve, 5 fermi brevi e due persone sono state portate in commissariato, poi subito liberate. La visita di Hollande per l’inaugurazione del Salon de l’agriculture, sabato mattina all’alba alla Porte de Versailles, è stata particolarmente movimentata.
Il presidente è stato accolto da insulti violenti, «letame», «buono a nulla», «dimissioni», «non siamo dei migranti» e ha dovuto passare attraverso un’ala di persone che gli davano la schiena. «Sono agricoltore, io muoio», era stampato sulle magliette dei contestatori.
Hollande ha mantenuto il sangue freddo nelle sei ore che è rimasto stoicamente sul posto: «faremo di tutto» per aiutare l’agricoltura, ha assicurato, «ho capito le grida di disperazione». Il ministro dell’Agricoltura, Stéphane Le Foll, che qualche giorno fa è stato aggredito a casa propria da un gruppo di agricoltori, ha ripetuto: «Facciamo tutto il possibile per trovare una soluzione». Hollande e il governo hanno ereditato dal passato una situazione diventata poco per volta esplosiva.
Da mesi il mondo agricolo è in agitazione e la tensione è cresciuta all’inizio di quest’anno. Molte nubi si sono addensare all’orizzonte di quella che tradizionalmente è sempre stata la più grande agricoltura europea, ora minacciata da quella tedesca. I prezzi del grano sono crollati sul mercato mondiale (da 250 euro la tonnellata a 140 euro in pochi anni), come quelli del latte, che ha vissuto un’esplosione della produzione dopo la fine delle quote (l’Irlanda, per esempio, ha moltiplicato la produzione) proprio nel periodo in cui la Cina è entrata in crisi e ha importato di meno. Gli allevatori di bovini e porcini stanno subendo gli effetti dell’embargo russo.
Ci sono state epidemie, che hanno anche colpito la produzione di fois gras. E la grande distribuzione, che è sempre più concentrata, ha aumentato le pressioni per ottenere prezzi al ribasso delle materie prime. La conseguenza è stato il crollo del reddito per buona parte degli agricoltori (si salvano i produttori che si sono convertiti al biologico).
Il governo non è stato con le mani in mano. La Francia ha ottenuto delle concessioni da Bruxelles, gli aiuti al settore superano i 9 miliardi l’anno, sono stati concessi sgravi di contributi, sono stati aggiunti altri 850 milioni di euro di contributi d’emergenza. Il primo ministro, Manuel Valls, ha patrocinato degli incontri tra produttori e grande distribuzione, per cercare di arrivare a un’intesa e a un sostegno dei prezzi della materia prima.
Ma, al di là dello squilibrio tra domanda e offerta, è tutto il business model del settore che è andato in crisi. La Fnsea, il principale sindacato agricolo, continua a difendere un modello produttivista, di aumento continuo della produzione con tutti i mezzi, a detrimento delle filiere corte e di maggiore qualità.
Incarna bene questa scelta il leader della Fnsea, Xavier Beulin, che è alla testa di un gruppo agro-industriale di produzione di oleaginosi con un fatturato di 7 miliardi di euro l’anno (dati 2013), oltre a 500 ettari di cereali e produzione di latte. Ma abbandonare l’agricoltura estensiva e produttivista per passare a produzioni di migliore qualità è una strada lunga e difficile. Il governo non ha certo potuto — né voluto — forzare la mano per la ristrutturazione di un settore che resta, almeno simbolicamente, molto importante nella mentalità francese. E gli agricoltori, che già tradizionalmente votavano a destra, ora sono sempre più sedotti dal Fronte nazionale.
Fonte: il manifesto
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