di Paolo Rizzi
In Danimarca un referendum rallenta il processo d’integrazione nell’Unione Europea. La sinistra radicale è tra i principali attori del referendum. Lo scorso dicembre si è svolto un referendum di cui poco si è discusso sui media italiani. La materia del quesito era molto tecnica: i cosiddetti “opt-out”, ovvero il meccanismo per cui un singolo Stato componente l’Unione Europea può riservarsi il diritto di non aderire a determinati Trattati o Direttive dell’Unione. Può essere stata la complessità tecnica del quesito a tenere lontani dal referendum gli organi d’informazione italiani, può darsi anche che il motivo sia che la vittoria degli euroscettici abbia messo in imbarazzo la stampa, sia borghese sia di sinistra, favorevole all’integrazione.
Il punto politico principale del referendum era l’opt-out sugli affari legali. In pratica, il rifiuto danese di aderire a una serie di accordi europei sulla giustizia mette a rischio la partecipazione del Paese all’EUROPOL, l’agenzia europea per la lotta al crimine. Per questo il governo di destra (sostenuto dai liberali centristi) ha deciso di cogliere l’occasione per fornire una prova di forza e provare ad abolire con un referendum non solo questo opt-out, ma gli altri riguardanti il diritto di famiglia e le leggi civili e commerciali. Apparentemente i sondaggi davano la vittoria certa all’abolizione degli opt-out. I risultati sono stati, però, diversi. Il 3 dicembre 2015 il 53,1% degli elettori ha bocciato l’abolizione degli opt-out e così di fatto rallentando il processo d’integrazione della Danimarca nell’Unione Europea.
Quello che nell’intenzione del governo doveva essere un referendum che metteva fine ai rallentamenti sull’integrazione, ha finito per spaccare tutte le aree politiche tra europeisti ed euroscettici, anche al di là delle questioni tecniche poste nei quesiti. Gli stessi partiti che sostengono il governo si sono spaccati: hanno dato indicazione per il NO Alleanza Liberale e i Giovani Conservatori, l’ala giovanile del Partito Liberale Danese che esprime il capo del governo. Dall’opposizione hanno votato SI il Partito Socialdemocratico, il Partito Socialista del Popolo (con radici comuniste, ma da tempo spostato su posizioni moderate vicine ai Verdi Europei) e gli ecologisti di Alternativa.
Che i giornali borghesi siano in imbarazzo vedendo liberali e giovani conservatori votare contro l’integrazione europea non stupisce. Non si può essere neanche troppo stupiti dal silenzio a sinistra. Per il NO si è infatti schierata anche l’Alleanza Rosso-Verde (componente del Partito della Sinistra Europea) e il Movimento Popolare Contro l’Unione Europea. Intanto in Italia la discussione a sinistra sembra assumere l’europeismo come unico orizzonte possibile, mentre in Danimarca la sinistra radicale ha assunto una posizione nettamente euroscettica. L’Alleanza Rosso-Verde ha commentato il referendum dicendo: “Metà dei voti per il NO sono arrivati da elettori del blocco rosso, anche se l’Alleanza Rosso-Verde è stato l’unico partito a dare indicazione per il NO.
Dopo il referendum, l’Alleanza è cresciuta nei sondaggi dal 7,8% di giugno 2015 al 10,2%. È da notare anche che sono stati i collegi più ricchi a votare più per il SI, mentre nei quartieri più poveri ha prevalso il NO. Una parte importane del NO è il crescente euroscetticismo di sinistra contro un’Unione Europea non democratica, che porta austerità e lascia milioni di cittadini europei disoccupati. Come Alleanza Rosso-Verde vediamo come nostra responsabilità dare una voce all’euroscetticismo di sinistra mentre insistiamo su una cooperazione internazionale più democratica”.
Alle elezioni europee l’Alleanza Rosso-Verde non presentò una propria lista, ma partecipò a quella del Movimento Popolare Contro l’Unione Europea. Il Movimento si presentò come “non partisan”, ma la larghissima maggioranza dei suoi membri è composta dall’Alleanza Rosso-Verde e da sindacalisti critici con la natura liberista dell’UE. Il Movimento partecipa al gruppo parlamentare europeo del GUE/NGL, il gruppo della sinistra cui partecipano anche gli eletti di SYRIZA e Unità Popolare, di Front de Gauche, di Sinn Feinn, di Izquierda Unida e di Podemos, e anche dell’Altra Europa con Tsipras.
Parrebbe lecito domandarsi come mai in Europa si collabora costantemente con forze politiche euroscettiche mentre in Italia si pone come discriminante l’adesione all’europeismo.
Fonte: La Città futura
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