Evocare il Partito Comunista degli Stati uniti suscita sensazioni agrodolci: il fascino perverso per l’impresa disperata di fare una cosa del genere nella patria dell’imperialismo, la consapevolezza che la marginalità è l’unica prospettiva possibile e che l’attività si consuma per lo più tra verbosissimi comunicati e iniziative dal successo altalenante.
Però, se nella vecchia Europa dei partiti comunisti si sono sostanzialmente perse le tracce, negli Stati uniti la storia va avanti ormai dal 1919, al culmine della «paura rossa» scatenata dalla Rivoluzione d’Ottobre.
Adesso la situazione è diversa, i comunisti non sono più visti come terroristi e cospiratori, anzi, a sentir parlare il presidente del comitato nazionale del partito John Bachtell sembra di stare davanti a un socialdemocratico anche molto moderato.
In fondo ormai i movimenti che hanno scavalcato a sinistra il Cpusa costituiscono la maggioranza nella galassia della sinistra radicale a stelle e strisce. Bachtell, per dire, promuove a pieni voti e senza troppi indugi l’amministrazione Obama: «Certo — spiega — ha portato avanti politiche centriste e moderate, ma ha collezionato anche diverse vittorie: la riforma sanitaria, la crescita dell’industria interna, una parziale uscita dalla terribile crisi del 2008. Inoltre è riuscito a sviluppare un dibattito su tante questioni importanti come il controllo delle armi, gli abusi di polizia e il razzismo».
E ancora: «Bisogna dire anche che contro Obama si sono schierati subito i repubblicani, l’estrema destra e alcune frange di Wall Street: soggetti che hanno fatto di tutto per ostacolare la sua agenda».
Sulle elezioni presidenziali di novembre, la linea del Partito è di appoggio ai democratici. «Sia Hillary Clinton sia Bernie Sanders andranno avanti sulla strada tracciata da Obama – dice ancora Bachtell –, e comunque se venisse eletto un repubblicano, questo sarebbe un’enorme sconfitta per i lavoratori e per i movimenti. Per noi personaggi come Donald Trump e Ted Cruz sono un pericolo, ed è per questo che stiamo facendo il possibile per costruire un’ampia coalizione in grado di batterli ad ogni livello».
La preferenza sulla nomination presidenziale è per Sanders, con il senatore socialista del Vermont che viene visto come «un socialista democratico, una figura nuova per la politica americana. Noi del Cpusa condividiamo molte delle sue idee».
E per Bachtell queste idee sarebbero «l’espansione dei diritti democratici e civili, l’equità nelle questioni economiche e finanziarie, la partecipazione dei cittadini alla vita politica».
L’obiettivo finale, cioè il mai abbandonato sogno di veder sorgere finalmente il Sol dell’Avvenire, è però una lotta di lungo periodo. «Serviranno ancora diversi stadi prima che il socialismo riesca ad affermarsi nelle coscienze degli americani — ragiona Bachtell — Devo dire però che negli ultimi anni stiamo riscontrando un grande interesse per certi discorsi: c’è molta rabbia per la grande diseguaglianza che tanta gente è costretta a vivere, uno scontro tra pochi grandi oligarchi e milioni di persone senza lavoro o che vivono in condizioni di povertà. Non credo che gli americani siano ancora pronti a combattere per il socialismo, ma penso che finché il capitalismo continuerà a produrre miseria, crescita lenta e crisi periodiche, noi possiamo continuare a crescere. Bisogna avere pazienza».
E così, con lentezza, quasi con circospezione, la sinistra americana cresce e può addirittura dire di stare attraversando un buon periodo: tanto per dire, il partito Socialist Alternative si è dimostrato in grado di eleggere e confermare una consigliera comunale a Seattle (si chiama Kshama Sawant), mentre il movimento Occupy ha tenuto banco nel dibattito pubblico per diversi mesi e ultimamente quelli di Black Lives Matter, contro gli abusi della polizia sugli afroamericani, sta facendo parlare parecchio di sé. Piccoli passi. Nella direzione giusta.
Fonte: il manifesto
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