La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 13 febbraio 2016

La salute e la produttività

di Carmine Tomeo
Qualche mese fa, Il Giornale, manco a dirlo, si rallegrava del fatto che “gli imprenditori assumono gli 007” e annunciava che “la festa è finita”, dal momento che “nel 2014 i mandati per contrastare l'assenteismo sono cresciuti ancora, del 7%”. Sosteneva il presidente di Federpol, che il ricorso delle aziende agli investigatori privati è dovuto al fatto che “la crisi morde e i datori di lavoro mordono di più, non c'è più spazio per la tolleranza quando si tratta di produttività” e così “il 60 per cento della nostra attività oggi è commissionata da loro”.
In effetti il tema della produttività è assunto a principio da salvaguardare, ad interesse superiore ed assoluto da tutelare dalla minaccia dell’assenteismo.
E come il padronato consideri la produttività è riscontrabile nell’aumento dei ritmi di produzione e aumento del tempo di lavoro pro capite. “I media, i manager, molti imprenditori e quasi tutti i politici, intendono la produttività come quantità di pezzi sfornati all’ora da un operaio, restando con ciò aderenti ad un’immagine della produttività resa celebre dal film Tempi Moderni di Charlie Chaplin”, faceva notare a tal proposito Luciano Gallino. [1]
A questo punto occorre introdurre un importante elemento di analisi: l’incidenza delle condizioni di lavoro sul tasso di assenze. Dal momento che l’Osha (Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro) considera che “i fattori di rischio psicosociali e muscoloscheletrici sono i più diffusi nei luoghi di lavoro in Europa”, la correlazione tra un lavoro che richiama Tempi Moderni di Chaplin e le assenze dal lavoro non è certo da sottovalutare.
Nel rapporto 2014 dell’Osha su stress e rischi psicosociali nei luoghi di lavoro si riferisce che “nel 1999-2007 quasi il 28 % degli intervistati, pari a circa 55,6 milioni di lavoratori europei, ha riferito che il proprio benessere psichico era stato compromesso dall’esposizione a rischi psicosociali. Il fattore di rischio principale e più frequentemente indicato è stato il poco tempo a disposizione e l’eccessivo carico di lavoro (23 %)” [2]. E non solo di problemi psichici si tratta. Ancora l’Osha informa che esistono correlazioni tra fattori psicosociali nei luoghi di lavoro e patologie cardiovascolari e che quegli stessi fattori psicosociali possono rivestire un ruolo significativo nello sviluppo di problemi muscolo-scheletrici. Questi ultimi, rappresentano uno dei disturbi più comuni legati al lavoro e affliggono milioni di lavoratori europei, che sono spesso costretti ad assentarsi dal lavoro. Tra le cause fisiche dei disturbi muscolo-scheletrici ci sono, tra gli altri, i movimenti ripetitivi o che richiedono uno sforzo e ritmi intensi di lavoro. E quanto questi disturbi stiano colpendo i lavoratori in Italia lo dimostra il numero crescente di “malattie del sistema osteomuscolare” accertate dall’Inail, che sono passate, dal 2010 al 2014, da 9.588 a 12.393, che significa un incremento di quasi il 30%. [3]
Questi due problemi, lo stress lavoro-correlato ed i disturbi muscolo-scheletrici, sono in Europa i problemi più frequenti legati al lavoro; e se il primo è causa del 50–60% di tutte le giornate lavorative perse, si stima che i secondi colpiscano almeno 100 milioni di persone in Europa e oltre 5 milioni e mezzo in Italia, costringendo anch’essi a numerose assenze dal lavoro [8].
E adesso possiamo tornare alla tanto decantata produttività. L’Istat definisce la produttività come “la misura della quantità di prodotto ottenuto con l’impiego di un’unità di lavoro”, determinando in questo modo la “capacità di un sistema produttivo di generare ricchezza”. Dobbiamo chiederci, a questo punto, quale sia il costo della produttività per la salute dei lavoratori. Stando ai calcoli dell’ente nazionale di statistica, nel 2013 si è registrato un valore aggiunto pari a 690 miliardi di euro [4]. Significa che in Italia è stato prodotto un valore aggiunto di 43.000 euro per ogni addetto; ma contemporaneamente, ogni 100 milioni di valore aggiunto prodotto, a 3 lavoratori è stata riconosciuta dall’Inail una malattia professionale, di cui più della metà per disturbi muscolo-scheletrici.
Ma di fronte ad una situazione drammatica come quella descritta, le soluzioni per incrementare la produttività del lavoro sono sempre le stesse: aumentare l’erogazione di lavoro da parte del lavoratore, attraverso una crescente precarietà e condizione di ricattabilità. Una condizione che impone al lavoratore di rendere al massimo ed essere sempre disponibile, nel vano tentativo di sopperire, in questo modo, agli insufficienti investimenti specie per quanto riguarda ricerca e sviluppo.
Fu Sergio Marchionne a dire qualche anno fa, che il costo del lavoro in settori lavorativi altamente meccanizzati incide non più del 5-6%. Ma proprio negli stabilimenti Fca si registrano aumenti dei ritmi di lavoro, saturazione dei tempi ciclo, riduzione delle pause. “Bisognerebbe preoccuparsi soprattutto del restante 95% e non di quella modesta percentuale” del costo del lavoro, affermava giustamente Gallino [5]. E invece, spesso ci si preoccupa piuttosto di spiare lavoratori malati, che per la loro condizione psico-fisica, molte volte compromessa dallo stesso lavoro, non si ritengono idonei ad una produzione da Tempi Moderni.

Note

[1] Luciano Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Edizioni Laterza, 2012

[2] Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro, Il calcolo dei costi dellostress e dei rischi psicosociali nei luoghi di lavoro, 2014

[3] Inail, Relazione annuale 2014, luglio 2015

[4] Istat, Struttura e competitività del sistema della imprese industriali e dei servizi, 9/12/2015

[5] op. cit.

Fonte: La Città futura

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