La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 9 febbraio 2016

Tokyo a tutto deficit, la roulette dell’Abenomics







di Masanaga Kumakura
Secondo la teoria economica tradizionale, la monetizzazione del debito governativo è foriera di sprechi fiscali e iper-inflazione. Si tratta dell’ultima cosa alla quale una banca centrale autorevole dovrebbe ricorrere. Eppure è esattamente ciò che la Banca del Giappone (BOJ) sta facendo negli ultimi tre anni.
Nell’ambito del suo allentamento monetario quantitativo e qualitativo (QQE), la BOJ ha già accumulato oltre 300 mila miliardi di yen (circa 2.500 miliardi di dollari statunitensi) di bond governativi giapponesi.
La Banca centrale si è impegnata a continuare il suo gigantesco programma di allentamento della politica monetaria fino a quando il tasso d’inflazione raggiungerà il 2%.
Secondo la BOJ, l’economia giapponese è intrappolata in un circolo vizioso deflazione-stagnazione, e per uscirne sono necessarie mosse coraggiose sia sul fronte monetario sia su quello fiscale. Il QQE è parte integrante della Abenomics, il pacchetto di politiche per rivitalizzare l’economia promosso dal premier di Tokyo Shinzo Abe. Ma l’idea secondo la quale il Giappone ha bisogno di una politica radicale per guarire dal suo malessere deflazionario è discutibile.
È difficile credere che la deflazione del Giappone sia così grave da autorizzare la BOJ ad applicare una politica che sfida apertamente i princìpi della teoria economica. Infatti non soltanto la deflazione del Giappone è stata quantitativamente minuscola (il tasso medio di inflazione degli ultimi 15 anni è stato del -0,1%) ma gran parte di questa deflazione rappresenta un’illusione statistica. I dati ufficiali sui prezzi al consumo in Giappone tendono infatti a sovrastimare il miglioramento qualitativo dei nuovi prodotti, con l’effetto di smorzare il tasso ufficiale d’inflazione.
Secondo i sondaggi condotti periodicamente dalla BOJ e dal governo, il consumatore medio giapponese non si aspetta una diminuzione dei prezzi in futuro, ma ciò viene ignorato sia dalla BOJ, sia dall’amministrazione Abe.
I cosiddetti “decenni perduti” del Giappone non sono stati così miseri come comunemente si ritiene. Effettivamente il tasso di crescita del prodotto interno lordo (Pil) giapponese è calato sensibilmente nel corso degli anni Novanta ed è attualmente agli ultimi posti tra quelli dei paesi industrializzati. Ma una parte sostanziale di questo rallentamento della crescita può essere spiegata dalla riduzione della forza lavoro e dalla diminuzione della media delle ore di lavoro.
Un motore della produzione non così spompato
Il tasso di crescita del Pil per ora lavorata del Giappone è ancora al di sopra della media dei paesi del G7 il che mette in dubbio l’idea secondo cui l’economia giapponese starebbe girando molto al di sotto delle sue potenzialità. Poiché nel complesso gli input di lavoro in Giappone in futuro si ridurranno più rapidamente, sarebbe imprudente perseguire apertamente un’ambiziosa crescita del Pil. Eppure è esattamente ciò che sta facendo il governo Abe.
Si potrebbe sostenere che il QQE è utile, perché un po’ di inflazione aiuta l’economia a girare in maniera fluida. Ma secondo i dati sui prezzi al consumo in Giappone, quelli di beni e servizi per le persone fisiche diventano instabili nel momento in cui il tasso d’inflazione sale di qualche decimale. Ciò implica che una politica reflazionaria si dimostrerà rischiosa se la BOJ non sarà capace di mantenere il tasso d’inflazione al livello programmato o molto vicino ad esso.
Ma, per controllare l’inflazione, la Banca centrale deve essere capace di controllare la quantità di denaro. Nel contesto della politica attuale della BOJ ciò significa liberarsi di una quantità massiccia di bond governativi giapponesi in un periodo di tempo piuttosto breve. Ed è possibile farlo soltanto se il governo è indiscutibilmente solvente. Altrimenti gli investitori privati rifiutano di riacquistare i bond governativi, dando l’avvio a una crisi del debito sovrano.



Sfortunatamente la solvibilità del governo giapponese è sempre più in dubbio. Non soltanto il debito pubblico del Paese è sempre più enorme – attualmente ammonta a oltre il 240% del Pil – ma il governo sta dando vita ogni anno a un massiccio deficit fiscale. Si tratta di deficit più strutturali che ciclici, che riflettono l’esplosione della spesa previdenziale.
La società giapponese sta invecchiando rapidamente. Tagliare i programmi previdenziali, come le pensioni e l’assistenza agli anziani, sarebbe difficile da un punto di vista economico, e politicamente suicida. L’amministrazione Abe sta utilizzando un aumento temporaneo del gettito fiscale non per estinguere debito, ma per aumentare la spesa per i servizi destinati agli anziani.
Alcuni osservatori sostengono che la BOJ non deve disfarsi dei suoi bond del governo giapponese per controllare il livello dei prezzi e che una strategia più ragionevole sarebbe di pagare un interesse competitivo sui depositi delle banche commerciali sui conti della BOJ. Se ciò impedisse la fuga dei depositi dalla BOJ, allora l’enorme stock di denaro in eccesso non creerebbe immediatamente inflazione.
Ma il pagamento di un interesse competitivo rappresenta solo una soluzione provvisoria e, la BOJ dovrà continuare questa politica finché resterà in dubbio la solvibilità del governo giapponese. Ciò significa che la base monetaria si espanderà senza limiti, anche se la banca non acquisterà nuovi bond governativi. Si tratta di una politica controproducente nel lungo periodo, che provocherà un aumento sia dei bond governativi che del denaro circolante.
Si preannunciano tempi difficili per l’economia giapponese. Al di là della ribalta della BOJ e dell’amministrazione Abe, l’economia sta silenziosamente affondando in un mare di debito sovrano.

Tratto da EASTASIAFORUM
Fonte: cinaforum.net

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