di Alex Zanotelli
Da anni sono coinvolto con i comitati “No triv”, cioè con coloro che si oppongono alle trivellazioni nei mari italiani per l’estrazione di petrolio e metano. Faccio parte di quel flusso di cittadinanza che ci porta al voto referendario del 17 aprile. È bello sentirsi vicini a tanta gente impegnata e toccare con mano quante persone non accettano passivamente che si attuino certe scelte di politica energetica.
Il referendum – che è abrogativo e che perché sia valido deve votare il 50% più uno degli aventi diritto – chiede di cancellare la norma che consente alle multinazionali di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia dalle coste italiane senza limiti di tempo. In pratica, se la maggioranza di cittadini voterà “sì”, le 64 piattaforme petrolifere attive entro le 12 miglia verranno chiuse alla scadenza delle concessioni; se invece prevarrà il “no”, queste piattaforme continueranno a lavorare fino all’esaurirsi dei giacimenti.
I comitati “No triv” e anche nove regioni hanno cercato in tutti i modi di convincere il governo a cambiare le norme sulle trivellazioni, ma non c’è stato nulla fare. Allora comitati e regioni si sono rivolti alla Corte di cassazione per l’abolizione di questa legge. E hanno avuto il via libera. Sono state proposte sei domande referendarie, ma il governo Renzi ha furbescamente cambiato la legge di stabilità per cui la Corte di cassazione ha tolto cinque delle sei domande. Ma quella che è rimasta è sufficiente.
Infatti, aldilà dell’aspetto tecnico del quesito referendario, quello che si sta chiedendo agli italiani è questo: davvero si vuole continuare con gli idrocarburi o invece è arrivata l’ora di imboccare la via delle energie rinnovabili?
Ormai è dimostrato che il problema del surriscaldamento del pianeta è dovuto all’uso di petrolio e di carbone, che producono anidride carbonica la quale forma un involucro intorno alla Terra e ne trattiene il calore. E il surriscaldamento modifica il clima con conseguenze gravi per tutti. Anche papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ fa propria la tesi che individua la causa del riscaldamento globale nella concentrazione di gas serra emessi dall’attività umana, che si fonda su un sistema energetico basato sui combustibili fossili.
Dunque non si deve ridurre il “sì” al referendum alla semplice preoccupazione che le trivellazioni, con gli eventuali casi di inquinamento, rovinino la bellezza dei mari e delle coste. Il “sì” significa voltare le spalle al petrolio.
Certo dobbiamo fare i conti con il governo Renzi che sta cercando di disinnescare il referendum in tre mosse: a) anticipando la data del voto al 17 aprile, mentre il referendum doveva tenersi insieme alle elezioni amministrative di giugno; b) proibendo ai comuni di pubblicizzare il referendum; c) invitando i cittadini di area Pd a non andare a votare il referendum.
Inoltre va notato che il governo Renzi non ha ancora calendarizzato la discussione in parlamento per l’approvazione dell’accordo Cop 21 sul clima, che si è svolto a Parigi lo scorso dicembre. Con il rischio che il 22 aprile l’Italia non sia presente a New York, dove le nazioni del mondo firmeranno ufficialmente l’accordo di Parigi.
In vista del 17 aprile, mi appello alla Conferenza episcopale italiana perché si pronunci sul referendum, mi appello ai sacerdoti perché informino i fedeli, mi appello all’associazionismo cattolico – penso all’Azione cattolica, all’Agesci, alle Acli – perché si diano da fare. C’è bisogno di tutti, c’è bisogno di una valanga di “si” per far capire al governo che l’era del petrolio è finita.
Fonte: Nigrizia
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