di Alessandra Congedo
La strada per la realizzazione del progetto «Tempa Rossa» della Total risulta spianata da tempo. Un provvedimento adottato dal ministero dell’Ambiente il 30 novembre 2015 rappresenta uno degli ultimi atti che precedono il rilascio dell’autorizzazione definitiva per l’adeguamento delle strutture della raffineria Eni di Taranto, dove avverrà lo stoccaggio e la movimentazione di 2,7 milioni di tonnellate annue di greggio estratto dall’omonimo giacimento in Basilicata. Per il ministero sussistono i presupposti per l’emanazione del provvedimento di autorizzazione «previa intesa con la Regione Puglia». Ed è questo, forse, l’ultimo appiglio per chi vuole ancora riaprire il confronto sul progetto che prevede un investimento di ben 300 milioni su Taranto. Non è un caso, infatti, che ieri il coordinamento no triv «Terra di Taranto» abbia lanciato un ulteriore appello al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, affinché esprima la propria contrarietà al progetto facendosi portavoce delle istanze dei territori.
Una posizione ritenuta coerente rispetto al cammino intrapreso dalla Puglia, una delle regioni promotrici del referendum contro le trivelle del prossimo 17 aprile.
Una posizione ritenuta coerente rispetto al cammino intrapreso dalla Puglia, una delle regioni promotrici del referendum contro le trivelle del prossimo 17 aprile.
E’ proprio a Taranto che i timori e le perplessità nei confronti del progetto hanno trovato terreno più fertile anche grazie alla sistematica opposizione del comitato cittadino «Legamjonici».
Rilevante anche il parere negativo fornito da Arpa Puglia. Spinto dalla protesta degli ambientalisti, il Comune di Taranto si è rimangiato l’iniziale parere positivo approvando, nel novembre del 2014, una delibera che escludeva dal piano regolatore del porto due lavori funzionali al progetto: l’allungamento del pontile petroli Eni e la costruzione di due serbatoi per lo stoccaggio del greggio che giungerà dal giacimento di Corleto Perticara (Potenza). Ci ha pensato però il Tar di Lecce, con una sentenza del giugno 2015, ad annullare la delibera e a costringere il Comune di Taranto ad approvare nel gennaio 2016 un nuovo provvedimento che include i lavori necessari all’approdo del progetto nella città ionica. Strada nuovamente spianata, quindi, ma tra gli ambientalisti aleggia il sospetto che l’iter possa godere di una via privilegiata. Il sospetto viene confermato dall’inchiesta della Procura di Potenza e dalle manovre che hanno portato ad approvare nella Legge di Stabilità del 2015 l’emendamento che facilita il percorso del progetto.
Il primo tentativo di inserire l’emendamento viene compiuto durante la discussione del decreto «Sblocca Italia», nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 2014, ma non va a buon fine. Dopo la levata di scudi delle opposizioni, infatti, il testo venne ritenuto inammissibile. Il secondo tentativo va a segno nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 2014: l’emendamento viene recepito nella Legge di Stabilità 2015, poi approvata con la fiducia.
Il testo prevede che tanto per le infrastrutture e gli insediamenti strategici, quanto per le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria e, più in generale, per le opere strumentali allo sfruttamento degli idrocarburi, le autorizzazioni relative debbano essere rilasciate d’intesa con le Regioni interessate, secondo una procedura semplificata da far valere nell’esercizio del potere sostitutivo dello Stato in caso di mancato accordo con le Regioni. L’emendamento riguarda anche le opere ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali che hanno ricevuto un parere di compatibilità ambientale.
Dalle intercettazioni telefoniche raccolte dalla Procura, emerge chiaramente il ruolo dell’ex ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, che già il 5 novembre del 2014 rassicurava il suo compagno Gianluca Gemelli, titolare di due società che operano nel settore petrolifero e indagato per concorso in corruzione e millantato credito: «E poi dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se è d’accordo anche Maria Elena (Boschi, ndr), quell’emendamento che mi hanno fatto uscire… alle quattro di notte». Secondo gli inquirenti, l’emendamento in questione non solo avrebbe agevolato l’iter delle autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto «Tempa Rossa», ma avrebbe comportato anche dei vantaggi per Gemelli: le sue aziende avrebbero guadagnato circa due milioni e mezzo di euro attraverso i subappalti.
Fonte: il manifesto
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