di Gianpaolo Cherchi
È possibile essere «incolpevolmente colpevoli», attori cioè di una vicenda nella quale ci si ritrova a essere, nello stesso tempo, sia vittime che carnefici?
La vita di Claude Robert Eatherly, il meteorologo statunitense che diede il via libera allo sgancio della prima bomba atomica che distrusse Hiroshima, pare dimostrare che sia possibile. Da quel momento in poi, infatti, l’esistenza di Eatherly viene segnata in maniera tragica. Se alla fine della guerra i soldati americani venivano celebrati in patria e nel mondo come eroi e portatori di pace, Eatherly si chiuse in sé stesso: comprese di essersi macchiato di uno dei crimini più orrendi nella storia dell’umanità e cercò di rimediare alla propria colpa.
Assalito dai rimorsi, Eatherly si avviò verso una depressione senza scampo, tentò diverse volte il suicidio e a causa del suo comportamento autodistruttivo vide naufragare il suo matrimonio e non poté più vedere i figli. Il suo tentativo di rendersi colpevole di fronte alla società, cercando di distruggere l’immagine eroica che l’opinione pubblica si era fatta di lui, culminò con la dichiarazione di infermità mentale. Si tratta dell’ultima beffa ricevuta da una società che non può fare a meno di compiacere sé stessa, come si legge nelle parole che Eatherly scrive al filosofo Günther Anders in una delle lettere che compongono la loro corrispondenza.
Fu Anders infatti, nel 1959, a interessarsi della sua vicenda. Il filosofo tedesco vide nel caso Eatherly l’esempio di quella «tecnicizzazione dell’esistenza», di quell’impoverimento dell’individuo che in maniera indiretta e senza alcuna consapevolezza, come nelle rotelle di un perverso ingranaggio, viene inserito in azioni di cui non può prevedere gli effetti e che, se potesse prevederli, non potrebbe mai approvare. La pubblicazione della corrispondenza fra i due, a cura di Micaela Latini, per i tipi di Mimesis (L’ultima vittima di Hiroshima, pp. 256, euro 20), rappresenta un interessante contributo in questo senso. «Lei ci è estremamente prezioso, anzi indispensabile. Lei è, in qualche modo, il nostro maestro» scrive Anders nella sua prima lettera a Eatherly.
Lungi dal voler essere una mera consolazione, per minimizzare il gesto del pilota, il filosofo vuole anzi spronarlo a scrivere e a confessare apertamente la propria situazione, così da essere d’esempio e da monito per tutti, perché quella di cui si è macchiato è una colpa «in cui potrebbe incorrere – oggi o domani – ognuno di noi».
L’antropologia negativa andersiana trova infatti, nel caso di Claude Eatherly, la dimostrazione della condizione di esclusione e non appartenenza al mondo da parte dell’uomo, divenuto ormai antiquato rispetto al dominio di un apparato tecnico sul quale non ha più alcun controllo. Lo stato di choc in cui il pilota statunitense si è venuto a trovare, la vergogna provata e il suo disperato tentativo di espiazione e di redenzione, rappresentano allora la presa di coscienza da parte dell’uomo di questa condizione di contingenza e di abbandono, di totale estraneità nei confronti del mondo.
In seguito a quella prima lettera, i contatti fra i due divennero assai intensi, e Anders poté convincere l’ex pilota a scrivere una lettera di scuse ai superstiti di Hiroshima, in cui descriveva il suo dolore e tormento, e quel che era stata la sua vita da quel momento in poi.
Ed è proprio il pentimento a caratterizzare il dislivello prometeico che distingue Eatherly da Eichmann, e che fa sì che si possa colmare la frattura fra lavoro e responsabilità morale.
Eatherly, parafrasando Hannah Arendt (che di Anders, seppure per pochi anni, fu la prima moglie), rappresenta la «non banalità del male»: egli non è stato infatti l’anonimo burocrate che ha eseguito semplicemente gli ordini, il boia che ha fatto soltanto il proprio lavoro. Egli non si è sentito deresponsabilizzato nello svolgimento della sua mansione. Il suo pentimento e il suo dolore rappresentano anzi l’esatta antitesi del funzionario nazista che, senza chiedersi alcun perché, e «giustificato» dal semplice fatto di eseguire ordini impartiti dall’alto, produce morte senza porsi alcun problema sulle conseguenze delle sue azioni.
Eatherly rappresenta la grande e consolante antitesi del banale sterminatore Eichmann, perché non fa del meccanismo un pretesto per giustificare la propria coscienza, di cui al contrario ne scruta i tratti, e percependone la minaccia per quella stessa coscienza, intende romperlo nonostante ne faccia tristemente parte. In questo modo Claude Eatherly, colpevole e innocente allo stesso tempo, affronta con coraggio la propria azione, si astiene dal rimuovere la propria responsabilità, evita di nascondersi dietro l’ingranaggio anonimo del potere, e affrontando con dolore la propria coscienza decide di muovere i propri passi verso la libertà.
Fonte: il manifesto
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