di Federico Rampini
Una triade di buone notizie arriva dall’economia americana e beneficia il mondo del lavoro. Le prime due vengono dalle statistiche sull’occupazione: 215.000 nuove assunzioni nel mese di marzo, insieme con un aumento salariale mensile dello 0,3% (che non è enorme ma con l’inflazione bloccata è comunque un miglioramento del potere d’acquisto). La terza notizia positiva viene invece dalla politica. I due più importanti Stati Usa, prima la California e poi New York, nel giro di pochi giorni hanno deciso di aumentare in modo sostanziale il salario minimo legale, portandolo a 15 dollari l’ora. E’ un rialzo significativo sia rispetto ai precedenti minimi salariali dei due Stati (attorno a 10 dollari orari), sia e ancor di più rispetto al minimo federale valido per tutti gli Stati Uniti che rimane fermo da anni a 7,25 dollari orari.
Barack Obama ha tentato più volte di alzare il minimo federale ma si è scontrato con il rifiuto dei repubblicani che hanno la maggioranza al Congresso. California e New York sono Stati dove le assemblee legislative locali sono a maggioranza democratica.
Barack Obama ha tentato più volte di alzare il minimo federale ma si è scontrato con il rifiuto dei repubblicani che hanno la maggioranza al Congresso. California e New York sono Stati dove le assemblee legislative locali sono a maggioranza democratica.
C’è poi una quarta notizia positiva. Questa è “contro-intuitiva”: si tratta infatti di un lieve rialzo nel tasso di disoccupazione, registrato a marzo. Il tasso di disoccupazione ufficiale, dopo mesi di calo, è leggermente risalito dal 4,9% al 5% della forza lavoro. Che si tratti di un fatto positivo è parere unanime degli esperti del mercato del lavoro. Quel rialzo risulta infatti dal ritorno dentro la forza lavoro ufficiale di una parte di disoccupati “scoraggiati”, che nella crisi economica avevano rinunciato a cercarsi un posto e come tali erano scomparsi dagli schermi radar delle statistiche. A marzo invece si è avuto un aumento della popolazione che “partecipa” alla forza lavoro, ancorché disoccupata: il tasso è passato al 63% della popolazione dopo avere toccato un minimo del 62,4% nel settembre del 2015. Era quasi da 40 anni che la partecipazione attiva alla forza lavoro non si situava così in basso. Nell’età dell’oro dell’economia americana, il boom degli anni 60, la forza lavoro aveva superato il 70% della popolazione. Il calo della partecipazione alla forza lavoro è una tendenza preoccupante, solo in parte collegata alla demografia (invecchiamento), in parte dovuta invece all’esaurirsi di opportunità per la manodopera meno istruita e meno qualificata. L’inversione di tendenza attuale è ancora modesta per le sue proporzioni, ma si aggiunge a tutti gli altri indicatori che segnano il bel tempo.
L’aumento dei salari minimi in California e a New York sembra inserirsi in una tendenza che supera i confini degli Stati Uniti: perfino la Gran Bretagna governata da un conservatore (il premier David Cameron) ha deciso proprio questa settimana di alzare il suo minimo da 6,70 fino a 7,20 sterline l’ora. Il nuovo minimo salariale inglese equivale quindi a 10,2 dollari al cambio attuale. E’ inferiore ai livelli di California e New York ma si situa proprio dove Obama proponeva di portare il minimo federale Usa. Comunque per quanto riguarda la California e New York il forte aumento dei minimi salariali è scaglionato nell’arco dei prossimi anni, e per quanto riguarda New York prevede anche dei differenziali salariali geografici per tenere conto del fatto che il costo della vita è molto più alto nella città di New York rispetto a zone periferiche dello stesso Stato. Si prevede che ora altri Stati Usa governati dai democratici seguiranno l’esempio dei due apri-pista.
Fonte: La Repubblica
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