di Corrado Oddi
Nel fine settimana del 9-10 aprile inizia la raccolta delle firme per i referendum “sociali”. Uso le virgolette in due sensi. Poiché la Cgil ha deciso di promuovere alcuni quesiti referendari contro il Jobs Act e la legislazione del lavoro in un proprio percorso autonomo, i referendum e la raccolta firme cui faccio riferimento non coprono l’intero arco delle questioni sociali aperte nel Paese, ma investono tre grandi temi: la scuola e la sua centralità nell’intervento del pubblico, la salvaguardia dell’ambiente e una strategia energetica che guarda al futuro, i beni comuni, a partire dall’acqua, quello più paradigmatico.
Raccoglieremo firme contro la “cattiva” scuola del governo con quattro quesiti referendari ( poteri del dirigente scolastico, comitato di valutazione del merito, school bonus e alternanza scuola-lavoro), a cui se ne aggiungono due, uno per impedire il ricorso a future trivellazioni petrolifere sia in terra che in mare (anche oltre le 12 miglia) e l’altro contro il piano nazionale inceneritori previsto dallo Sblocca Italia.
Inoltre, vista l’impossibilità, allo stato attuale, di promuovere un’iniziativa referendaria in tema di acqua e beni comuni, affiancheremo all’iniziativa referendaria anche una raccolta di firme su una petizione contro gli scandalosi decreti attuativi Madia sui servizi pubblici e le partecipate, per sostenere la versione originale della legge per la ripubblicizzazione del servizio idrico e per inserire il diritto all’acqua nella Carta costituzionale.
Inoltre, vista l’impossibilità, allo stato attuale, di promuovere un’iniziativa referendaria in tema di acqua e beni comuni, affiancheremo all’iniziativa referendaria anche una raccolta di firme su una petizione contro gli scandalosi decreti attuativi Madia sui servizi pubblici e le partecipate, per sostenere la versione originale della legge per la ripubblicizzazione del servizio idrico e per inserire il diritto all’acqua nella Carta costituzionale.
E parliamo di referendum “sociali” perché queste iniziative sono promosse congiuntamente dal movimento per la scuola pubblica, da quello per l’acqua, da quello contro le devastazioni ambientali e le trivellazioni e da quello contro il piano nazionale inceneritori. Connessioni reali tra movimenti e soggetti sociali, provando ad invertire una tendenza alla frammentazione della società e della politica, che è andata molto avanti in questi anni, un fattore certamente non secondario rispetto alla tenuta del governo Renzi, che fa della corporativizzazione sociale uno dei suoi punti di forza. Al momento del voto, nella primavera del 2017, diventerà ancora più evidente come i temi della scuola pubblica, del lavoro, dei beni comuni e dell’ambiente parlano di un modello sociale alternativo, di un’altra qualità della democrazia.
La stagione dei referendum sociali, oltre ad attaccare le linee di fondo delle politiche economiche e sociali del governo, acquista un significato importante anche rispetto alla scadenza del referendum confermativo sul tema della controriforma istituzionale. Quell’appuntamento, che il presidente del consiglio intende come un plebiscito sulla sua persona, legherà battaglia costituzionale e diritti sociali, idea della democrazia e contenuti di fondo delle scelte di politica economica e sociale. Emergerà che la concentrazione delle decisioni nel potere esecutivo e la riduzione del Parlamento ad un ruolo residuale sono organici e funzionali alla compressione dei diritti dei lavoratori, per ridimensionare lo stato sociale, privatizzare i beni comuni, aggredire l’ambiente. Sottolinearlo sarà molto più efficace e diretto rispetto a una discussione semplicemente di architettura istituzionale ed elettorale, cosa peraltro anch’essa necessaria.
La raccolta delle firme per i referendum sociali può servire anche a rafforzare l’iniziativa per informare e aiutare la partecipazione al voto dell’importante voto del 17 aprile. Fermare tutte le trivellazioni in mare e in terraferma, può costituire una sorta di staffetta virtuosa con il pronunciamento popolare sulla durata delle concessioni di quelle in essere entro le prime 12 miglia marine.
Soprattutto, lanciare ora la raccolta di firme per i referendum sociali significa attivare una mobilitazione contraria al messaggio governativo: le persone possono stare a casa e smettere di agitarsi. Anche se i lavoratori scioperano e manifestano contro il Jobs Act, si rassegnino, perché tanto si va avanti; gli insegnanti possono protestare, ma poi rifluiranno e si faranno una ragione dell’approvazione della “cattiva” scuola, dal giorno dopo la ratifica in Parlamento con il voto di fiducia. Fino a lasciar intendere un’interpretazione truffaldina dell’esito referendario del referendum sull’acqua del 2011, che non sarebbe servito a nulla, cogliendo una parte fondamentale di verità – quella per cui tutti gli esecutivi si sono ben guardati di procedere ad applicare il significato politico di quella consultazione, che reclamava la ripubblicizzazione del servizio idrico-, ma occultando anche che, senza quel pronunciamento popolare, alla fine del 2011 ci sarebbe stata la privatizzazione totale e definita dello stesso, partita che invece è ancora aperta.
Del resto, l’ideologia dell'”uomo solo al comando” richiede che la società venga spoliticizzata, passivizzata e atomizzata, che le persone rimangano sole di fronte alla potenza immodificabile del mercato e delle sue logiche. Anche per questo, raccogliere tante firme e parlare con moltissime persone per rendere possibili i referendum sociali rappresenta già un risultato e, invece, un colpo per chi, come questo governo, prova a fare a meno del consenso e, contemporaneamente, però teme proprio che le persone tornino a riappropriarsi della volontà di contare e decidere.
Fonte: il manifesto
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