di Luigi Manconi e Valentina Brinis
L’immagine può risultare crudelmente beffarda, ma si deve riconoscere che, purtroppo, rischia di corrispondere alla realtà in tutti i suoi drammatici contorni. L’accordo tra l’Unione europea e la Turchia evoca davvero il disperato tentativo di svuotare il mare con un cucchiaino.
Dopo l’entrata in vigore del piano, il 20 marzo scorso, e a seguito delle politiche di chiusura adottate dai paesi che confinano con la Grecia del nord, cinquantamila migranti sono bloccati in quello Stato in attesa di ricevere informazioni precise per proseguire il proprio viaggio. Il confine con la Macedonia, di recente reso inaccessibile, è presidiato dalle forze di polizia che impediscono il passaggio verso una delle rotte balcaniche attraverso le quali si raggiungono l’Austria e la Germania. Proprio per questo motivo migliaia di persone alloggiano nell’accampamento di Idomeni, nella speranza di riuscire a oltrepassare la frontiera.
E si tratta di donne, uomini e bambini che vivono in condizioni a dir poco disumane all’interno di tende da campeggio piantate nel fango. Sono strutture non impermeabili in cui il freddo è pungente e le condizioni igieniche assai precarie: manca tutto e quel poco che c’è, dal cibo ai pannolini per i bambini, viene messo a disposizione dai volontari. Ma l’alternativa offerta dal governo greco è sicuramente peggiore e consiste nel trasferimento in centri hotspot, da cui accedere, poi, alla procedura di ricollocamento in altri Stati dell’Europa, dove presentare la domanda di asilo.
Sono strutture di accoglienza chiuse, da cui non è possibile uscire fino al termine dell’iter previsto. E tra l’altro questa è una soluzione contemplata solo per i siriani e gli iracheni presenti in Grecia. Tutti gli altri – le cui domande di asilo sono state considerate inammissibili – verranno riportati in Turchia. Lo scopo prioritario del piano è quello di limitare ai soli richiedenti asilo l’accesso ai paesi europei, e di rifiutare le domande presentate da chi si muove per ragioni economiche, attraverso misure di contenimento, attuate dalla Turchia. E proprio per questo l’Ue ha stanziato dei fondi. Il pericolo che già si intravede riguarda le modalità che verranno utilizzate dalla Grecia e dalla Turchia per rispettare l’accordo.
Per quanto concerne il rimpatrio forzato verso la Turchia dei richiedenti asilo la cui domanda è stata dichiarata inammissibile, c’è da augurarsi che esso avvenga solo in seguito a un esame individuale di quella stessa domanda. Se così non fosse, verrebbe violata la direttiva europea (2013/32/UE) sulle procedure. Quest’ultima prevede, inoltre, che la persona sia rimandata in un paese “di primo asilo” considerato “sicuro”. In questo caso, è molto probabile che si incorra di nuovo in una violazione della direttiva appena citata. La Turchia, infatti, difficilmente si potrà considerare uno stato “sicuro” dal momento che da anni vengono messi in discussione sia il suo livello di sicurezza che il rispetto dei diritti fondamentali della persona. Ragioni, queste ultime, che hanno impedito finora alla Turchia di entrare a far parte dell’Unione europea.
Ma in definitiva il più che probabile fallimento del piano si misurerà attraverso la verifica dell’effetto deterrente che vorrebbe ottenere. Se l’Europa pensa di aver in questo modo risolto la questione dei migranti in arrivo nei suoi stati membri, si sbaglia di grosso: la volontà di superare i confini europei e raggiungere altri paesi in cui richiedere una protezione è troppo forte per essere anche solo arginata. E questa non è una novità: come insegna la storia umana e quella dell’irresistibile vocazione a mettersi in movimento, a lasciare il poco o il nulla che si possiede, e a cercare un altro posto sulla terra dove trovare una nuova opportunità di vita e di futuro.
Fonte: il manifesto
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