La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 31 marzo 2016

Sindacalismo Cisl, cherchez la Fca

di Anna Lombroso
Lo so, mi ripeto, ma è proprio vero che l’impero di Washington ha colonizzato anche il nostro immaginario, persuadendoci che fossero sogni americani anche i peggiori incubi, convertendo in eroi positivi personaggi dubbi, per il solo merito di essersi fatti da soli, accreditando marioli e criminali di guerra, mafiosi e serial killer, berretti verdi e spioni grazie ai buoni uffici di Hollywood.
Deve essere successo così ai sindacalisti dellaFim-Cisl della Fiat, pardon, della Fca, nutriti del mito cinematografico di Stallone- Hoffa, tra santità e mafia, che hanno siglato nei giorni scorsi un patto d’acciaio con l’Associazione Quadri in previsione di un accorpamento che “integri tutte le professionalità, dagli operai ai dirigenti” come insegna il modello americano: meno sigle, meglio è (l’Uaw statunitense è quella che ha siglato l’accordo con Marchionne, dopo che il 65% dei lavoratori iscritti al sindacato dell’auto aveva detto no).
Che le politiche industriali, così come le riforme del governo Renzi, quelle che hanno dato vita al più imponente processo di dismissione del patrimonio e delle attività economiche pubbliche che l’intera Europa, compresa la Gb thatcheriana abbia mai conosciuto, di cancellazione di garanzie e diritti, di avvio di quel dispositivo di potere autoritario globale con a massima estensione e concentrazione della proprietà privata a scapito di quella pubblica, vengano suggerite e poi testate il quel laboratorio di profitto, accumulazione, avidità feroci che è la vecchia Fabbrica Italiana Automobili Torino, oggi Fiat Chrisler Automobiles, è ormai accertato.
E non stupisce che sia là che si corona uno dei sogni condivisi dell’uomo con maglioncino, impegnato ad appagare gli appetiti insaziabili suoi e del suo esangue e indolente azionariato, come del suo fan entusiasta e irriducibile a Palazzo Chigi: quello di un sindacato unico, che fa tesoro del motto dei tanti empi politici e dirigenti sindacali sleali, quelli del “siamo sulla stessa barca!”, quelli che le tutele del lavoro ostacolo crescita e libera iniziativa, quelli della lotta di classe alla rovescia, ricchi sempre più ricchi contro poveri sempre più poveri, quelli che ogni giorno vorrebbero fosse quello della marcia dei quarantamila, in modo da indurre sempre più separatezza, disuguaglianza e inimicizia, quelli che ogni giorno ci vogliono istillare il veleno delle bugie sul Jobs Act, con la confusione artata e ingannevole tra nuovi contratti e nuovi posti di lavoro, con la grande menzogna sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato, con la rimozione delle notizie sui licenziamenti già avvenuti di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti, con l’altra oscena acrobazia che va sotto il nome di vaucher, dinamica forma di precariato che sconfina nel volontariato, spacciata per “patto”. Si, un sindacato unico che chiuderebbe il cerchio golpista del Partito Unico, della Camera Unica in attesa dell’Unico Tirannello, della già attiva Informazione Unica, e in prospettiva anche dell’unico simbolo elettorale su cui apporre la croce in occasione di elezioni ridotte a stanche liturgie domenicali e a sigilli notarili su decisioni elargite generosamente per provare il gusto dolce del plebiscito.
L’obiettivo è quello di giovarsi di una sottoclasse esecutiva di kapò, allo stesso modo in cui l’imperialismo finanziario con governorato generale nelle zone occupate dell’Ue si avvale dei governi nazionali sottomessi, per legittimare l’organizzazione sovranazionale all’interno di relazioni precarie e flessibili con il territorio, i confini, le appartenenze, e i diritti, per la definitiva conversione del sistema produttivo secondo dinamiche di de – territorializzazione e di ri – localizzazione, sospendendo certezze, garanzie, tutele, contando su un esercito di disperati esterni in concorrenza con prossimi disperati interni, di lavoratori salariati “tradizionali” in competizione con lavoratori migranti sempre meno protetti.
Qualcuno, Max Weber, ha detto che se si vogliono radiose visioni del futuro è meglio andare al cinema. Forse è meglio invece guardare a quelle utopie che nei film di Hollywood non hanno posto, quelle che ci restituiscono il diritto alla volontà, alla dignità e ad aspirare al futuro.

Fonte: il Simplicissimus 

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