di Giorgia Furlan
Sono passati circa 70 anni da quando in Italia è stato dichiarato il suffragio universale femminile e le donne hanno potuto finalmente ricoprire ruoli elettivi e partecipare più attivamente alla vita politica del Paese. La prime donne a varcare la soglia di Montecitorio furono prima quelle che fecero parte della Consulta Nazionale e successivamente quelle elette nell’Assemblea Costituente. Le “deputatesse”, come vennero definite sui giornali dell’epoca, erano 21 su un totale di 556 componenti, fra queste spiccano i nomi di Nilde Iotti, che sarà la prima presidente della Camera nella storia della Repubblica e Lina Merlin, promotrice dell’omonima legge sulla prostituzione.
Jotti e Merlin proseguono poi la loro carriera politica anche durante la prima legislatura, dal 1948 al 1953. Nelle elezioni del ’48 le donne elette sono 39 e per la maggior parte alla Camera dei Deputati dove la percentuale femminile era molto più alta che al Senato: 7% contro 1,4%.
Ma come e quanto è cambiata dopo tutti questi anni la presenza delle donne nei nostri organi di rappresentanza?
Una prima risposta la si può osservare in questa infografica che mostra come, dopo una prima apertura, la percentuale femminile eletta in parlamento va via via diminuendo rispetto al secondo dopoguerra. Nel 1968 le deputate erano solo il 3% dei membri della Camera e il rapporto impari variava di poco al Senato. Gli anni 70 e 80 inaugurano però un periodo di lotte e di emancipazione che vede le donne più partecipi nella vita politica e maggiormente rappresentate negli organi elettivi. Nel 1987 le presenze femminili alla Camera superano, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, il 10 per cento arrivando a toccare il 12, 7% per ridiscendere poi all’8,4% con la successiva tornata elettorale del 1992. Tangentopoli e la seconda Repubblica, nel 1994, portano in parlamento un numero ancora maggiore di donne che subisce però una lieve flessione fino al 2006. Addirittura nel 2008 la presenza femminile raggiunge il 18% al senato e il 20% alla Camera. È però l’attuale legislatura a fissare un picco positivo per la rappresentanza di genere a palazzo Madama e a Montecitorio dove le percentuali arrivano rispettivamente a toccare il 29,6% e il 31,3%.
Eppure questo record storico, come riporta un recente report di Openpolis, vale all’Italia, fra i 28 paesi dell’Unione Europea, solo l’11 posto per presenza femminile nelle istituzioni. Insomma meglio di noi fanno: Svezia, Spagna, Germania. Peggio Ungheria e Polonia, ma anche Regno Unito e Francia.
E se anche al Parlamento europeo l’Italia si ferma a metà classifica (vedi tabella sopra), facciamo meglio sul fronte del Governo dove invece ci piazziamo al quinto posto perché il 38% dei nostri ministri è donna. Inizialmente la parità di genere era stata utilizzata come uno spot da Matteo Renzi che ci aveva tenuto a nominare 8 ministri e 8 ministre, ma che con le nomine successive ha provveduto a “riequilibrare” la situazione in favore degli uomini.
Ad occupare anche qui il vertice della classifica troviamo ancora una volta la Svezia (52%) e all’ultimo posto l’Ungheria che non ha alcun ministro donna, come Grecia e Slovacchia.
«Tra i capi di stato europei le donne sono 5 su 28, ma due di queste lo sono per diritto dinastico: Elisabetta II d’Inghilterra e Margherita II di Danimarca» si legge nel report Trova l’intrusa stilato da Openpolis, e «solo in due paesi dell’Unione europea il capo del governo è una donna la Germania (con Angela Merkel) e la Polonia (con Beata Szydło)».
Sicuramente per quanto riguarda i ruoli chiave la percentuale di donne che arriva a ricoprirli è sicuramente ancora molto bassa. Insomma nelle stanze dei bottoni europee, non solo i primi ministri di genere femminile sono solo due in tutta Europa, ma i numeri sono bassi anche quando si guarda alle percentuali nel consiglio europeo, in quello degli affari esteri o finanziari. «Nelle istituzioni europee cosi` come nella società, dunque, esiste un soffitto di cristallo, che ostacola il percorso verso i ruoli apicali, e un recinto di attivita`, che confina le donne in determinati settori. Le donne rimangono legate agli ambiti ritenuti tipicamente femminili: gli incarichi di governo affidati a loro si fanno piu` numerosi per settori quali cura, welfare, istruzione e cultura. Sono escluse, o quasi, dai ruoli economici. In sostanza, più è importante la delega e minore è la presenza di donne».
Questo ovviamente accade anche a livello nazionale, anzi soprattutto a livello nazionale, ed è per questo che si ripercuote nelle sedi di rappresentanza europee.
Le donne quindi, quando arrivano a ricoprire ruoli di potere, spesso vengono relegate ad ambiti che sono considerati maggiormente in linea con lo stereotipo di genere. Le deleghe che sono loro attribuite appartengono per lo più all’ambito “Lavoro e affari sociali”, pittosto che “Famiglia, giovani, anziani e sport”, “Educazione e cultura” o “Salute”. E se andate indietro con la mente ai vari ministri donna che abbiamo avuto in Italia con gli ultimi governi, sicuramente troverete sfilze di ministre della Sanità, della Scuola (dove si sono succedute per esempio Letizia Moratti, Mariastella Gelmini, Maria Chiara Carrozza e Stefania Giannini, attualmente in carica) o delle Pari opportunità.
Foto ambiti di competenza
Qualche tempo fa il femminile Elle Uk aveva sottolineato il problema in maniera ironica realizzando la campagna #MoreWomen. Da una serie di foto ufficiali delle stanze del potere e dai luoghi che, molto più in generale “contano” erano stati cancellati tutti gli uomini, rendendo evidente la disparità di genere nei luoghi istituzionali. Ecco il risultato in una gallery:
E in uno short film, prodotto da Alex Holder e Alyssa Boni.
Fonte: Left
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.