La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 31 marzo 2016

Per un’educazione sociale, popolare e comunitaria

di Officine di Resistenza e Associazione Elianto
Scriveva Luciano Bianciardi che «la provincia è un campo d’osservazione di prim’ordine. I fenomeni sociali, umani e di costume, che altrove sono dispersi, lontani, spesso alterati, indecifrabili, qui li hai sottomano, compatti, vicini, esatti, reali». Il focusScuola e istruzione beni comuni, in tempi di malaria concorsuale, riparte proprio dall’indicazione di Bianciardi, dando spazio al manifesto del collettivo politico Officine di Resistenza e dell’Associazione Elianto di Alba. Sono queste due realtà nate dall’incontro fra alcuni educatori di strada operanti sul territorio della provincia di Cuneo compreso tra Langhe e Roero, luoghi di fenogliana memoria e scrittura, e altre figure impegnate in attività pedagogiche e sociali quali insegnanti, educatori di comunità, giornalisti e cittadini interessati a una riflessione sui nodi educativi degli attuali modelli culturali.
Educazione è Politica. Non esiste nulla di neutrale nella relazione pedagogica tra educatore ed educando, come non esiste pratica sociale e comunitaria che non ci permetta di schierarci.
Promuovere riflessione critica, partecipazione popolare e soluzioni condivise, alternative all’attuale sistema oppressivo che si manifesta nel continuo taglio ai servizi essenziali, allo smantellamento dei diritti fondamentali dei lavoratori e alla distruzione del welfare pubblico, è per noi il tratto distintivo di una seria progettualità educativa democratica. Tenere insieme un minimo di conflitto (lo spauracchio del XXI secolo) con una creatività sociale rinnovata è quello che per noi significa essere militanti (ottica del camminare/domandando di matrice zapatista, del non pre-confezionato).
Educazione Bene Comune è un progetto di Educazione Sociale Popolare e Comunitaria.
Per “Educazione” intendiamo il cammino intenzionale, integrato e continuo che ci permetta di formarci e costruirci come Soggetti e come Comunità, sostenendo apertamente una difficile e rischiosa ricerca di nuovi rapporti autenticamente umani (e quindi anticapitalisti).
Viviamo in un’epoca che tende ad identificare l’educazione “vera e ufficiale” con quella scolastica e familiare e a relegare le esperienze “extrascolastiche” come propaggini di queste, con sole funzioni di custodia e/o assistenza o di promozione e di investimento di sé nel futuro. Allo stesso tempo non pensiamo che ogni “attività sociale” sia di per sé educativa. Noi crediamo invece che tutto il processo di formazione individuale e comunitaria avvenga per mezzo di tutti i discorsi, gli ambiti, le attività, i tempi, gli spazi, i contenuti, i soggetti, gli oggetti, le norme, i rituali, le tecniche legati alla trasmissione della cultura, alla promozione di valori e alle interazioni anche inconsapevoli tra tutti questi elementi. Il riferimento chiaro in questa impostazione è al concetto di «dispositivo pedagogico» di Riccardo Massa e alla sua riattualizzazione da parte di Raffaele Mantegazza.
È da qui che prende corpo una visione d’Educazione come fenomeno sociale, perché siamo convinti che questa avvenga “in società” e non solo a scuola e nei circuiti tradizionali del sistema formativo; il senso dell’azione educativa sta nel rioccuparci come uomini e donne dei temi fondamentali della vita, per tentare di resistere all’attuale ordine socio-economico ed immaginarci nuove forme di Comunità.
È per noi la città la vera figura e il vero luogo educativo di una tale impostazione, non solo intesa come panorama o sfondo culturale, ma come alleanza tra figure e luoghi finalmente “aperti” alla sua riorganizzazione e riprogettazione. Sentiamo come urgente la necessità di dotarci di strumenti e momenti pedagogico-politici democratici di ripensamento urbanistico, di impronta ecologica, sociale e ambientale, di implementazione di servizi essenziali, e soprattutto di armonizzazione di tempi di vita e di lavoro (ovviamente per chi lo ha!).
Una nuova organizzazione fisica, politica, culturale ed educativa delle nostre città (intese quindi come ambienti di vita) non può che avere per noi un carattere Popolare, che abbia nella sua elaborazione “dal basso” la sua ragione d’essere e non solo una metodologia privilegiata. Negli ultimi anni, nell’immaginario collettivo, la “strada” è apparsa principalmente come il luogo del disagio, dell’emarginazione, del rischio. Educazione di “strada” per noi significa educare a partire dai rapporti di produzione esistenti, per non formarci e formare ottimi cittadini, anche con ottime e affascinanti narrazioni e metodologie, mentre “tutto il mondo va in rovina”; ed è per questo che non ci interessano le “riqualificazioni” , che molte volte sono informate da logiche di privatizzazione di quartieri e servizi o di chiusura identitaria.
Educazione popolare significa tentare di recuperare forme di interazione tra il politico e il sociale che permettano di rimettere in discussione le conseguenze devastanti che ci riservano le scelte governative collegate al capitalismo. “La strada” diventa quindi il milieu in cui ri-andare, un’ambiente fisico e sociale da rioccupare per incontrare “nella verità” della quotidianità le persone, i cittadini giovani ed adulti e per riattivare da subito un rapporto dialettico con essi. Per dirla con Paulo Freire, Educazione Popolare come Educazione liberatrice dai sistemi di oppressione.
Appare da subito evidente il carattere comunitario di una tale militanza educativa. Una Comunità intesa non in senso mitico e data come presupposto, ma come processo, come trasformazione e prassi sociale e politica. Fondare e fondarci come una Comunità educante che condivide contenuti, che crea le condizioni di esperienze, che si coinvolge ed esiste sul e nel territorio, che si interroga su quale stile di vita e di relazioni instaurare, determina da subito il ruolo emancipatore di un progetto siffatto. Dare importanza educativa ad ogni situazione comunitaria vuol dire rivendicare un ruolo di potere della Comunità stessa nelle scelte di fondo politiche e di gestione, e soprattutto significa re-imparare l’arte dell’autogoverno e dell’autorganizzazione.
Intendiamo mettere al centro della nostra ricerca e azione pedagogica i Beni Comuni e questo significa innanzitutto ri-occuparci della città, delle persone e delle relazioni tra esse, in secondo luogo modificare i rapporti sociali oppressivi in pratiche liberatrici e infine imparare ad autorganizzarci e ad autoformarci con apprendimenti cooperativi e solidali.
Il nostro tentativo è quello di educarci individualmente e collettivamente al cambiamento e alla trasformazione sociale, contro il mantenimento dello status quo.
In questo la categoria dei Beni Comuni è utile perché permette di situarci e di indagare le profonde e affascinanti interrelazioni tra Pedagogia e Politica e di spostarci continuamente tra teoria e prassi. Sappiamo bene che anche il miglior progetto educativo e/o sociale non è autosufficiente nel “cambiare il mondo” e siamo consapevoli di quanto sia fondamentale lavorare contemporaneamente sul piano formativo e su quello strettamente politico, come al tempo stesso sia opportuno intrecciare percorsi di studio teorici ad azioni pratiche.
Proprio per questo Educazione Bene Comune è un percorso che tiene insieme ricerca e azione pedagogica e che a livello locale è strettamente legato con “Officine di Resistenza”, collettivo politico anticapitalistico. Vorremmo però aprirci in un ottica di scambio e rete più grande di quella locale con tutte quelle realtà sociali e politiche che condividono e che attuano molto meglio di noi pratiche di resistenza e che si impegnano per creare alternative economiche, sociali e culturali all’attuale ordine neoliberista. Il tutto potrebbe concretizzarsi in fecondi momenti di analisi e incontro collettivo e di possibile unione di lotte.
La proposta di Educazione Bene Comune è quella di un percorso di progettazione delle Politiche Educative e Giovanili di stampo Pubblico, con una gestione totalmente rinnovata ed incompatibile tanto con la logica del profitto dei privati, quanto con una mera azione statale che in molti casi riproduce modalità organizzative che rendono difficile la concreta esigibilità dei diritti. È evidente la distinzione tra un vago, sterile e oramai di moda richiamo al bene comune (inteso come fine ultimo armonico di una società) rispetto ai Beni Comuni che, dai referendum per l’acqua pubblica fino alle occupazioni dei teatri da parte dei lavoratori artistici, parlano di conflitti per la riappropriazione da parte della comunità di un Bene che le è stato sottratto.
Il percorso di riappropriazione del tema educativo da parte della Comunità si concretizzerebbe nella ideazione, discussione e progettazione attiva delle Politiche Educative da parte di famiglie, ragazzi e ragazze, lavoratori del settore e cittadini interessati, facendo intravedere la nascita di quella Comunità educante citata prima.
La logica non è assolutamente quella della sussidiarietà nei confronti delle istituzioni pubbliche locali e internazionali, responsabili dei tagli allo Stato Sociale, ma quella di una seria opera di democratizzazione delle scelte che riguardano la vita delle persone, tra cui appunto l’Educazione.
L’operatore, nell’ottica di un’educazione sociale, popolare e comunitaria si prefigurerebbe sempre più come operatore di Comunità, chiamato a stimolare riflessione, senso critico e attivazione di percorsi partecipativi in un rapporto dialettico e a stretto contatto con i cittadini.

Fonte: lavoroculturale.org

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.