La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 31 marzo 2016

Libia, un Paese nel caos

di Umberto Mazzantini
Il rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per la Libia, Martin Kobler si è detto molto soddisfatto per l’arrivo ieri in a Tripoli del Consiglio della presidenza, definendola «Una tappa importante a per la transizione democratica e il ritorno della pace nel Paese».
Kobler, sorvolando sul fatto che l’insediamento di quello che dvrebbe essere l’organo di gverno unitario della Libia è avvenuto sotto scorta armata, ha aggiunto: «Mi complimento per il coraggio. La determinazione e la leadership del Consiglio della presidenza che, sotto l’egida del suo presidente Fayez Serraj, ha proceduto alla messa in opera dell’Accordo politico libico, al quale si ispira la grandissima maggioranza del popolo libico».
L’impressione è che l’Onu e i Paesi occidentali, di fronte ai continui scontri e litigi tra le fazioni libiche e al gioco sporco di alcuni Paesi arabi, abbiano forzato tempi e situazioni ed imposto l’insediamento della Presidenza del Consiglio a Tripoli, passo iniziale essenziale per l’attuazione del fragile ‘Accordo politico che le fazioni libiche hanno firmato a Skhirat, in Marocco, nell’ormai lontano 17 dicembre 2015.
Infatti Kobler ha aggiunto alla soddisfazione un appello ben più realista: «Chiedo al popolo libico di sostenere e cooperare pienamente con la Presidenza del Consiglio e il Governo di intesa nazionale». Il rappresentante Onu per la Libia riprende l’appello lanciato il 10 marzo dai rappresentanti del dialogo politico libico ed esorta «Tutti gli organismi pubblici, comprese le istituzioni finanziarie ufficiali del Paese a contribuire al trasferimento immediato, ordinato e pacifico del potere» e quando in Libia si parla i soldi si parla esclusivamente di petrolio e gas.
Kobler sa benissimo che la situazione in Libia è fragilissima, per questo ha chiesto che le forze di sicurezza assicurino l’incolumità della Presidenza del Consiglio e del Governo di unità nazionale e che devono essere evitate tutte le azioni che possano danneggiare questa fase cruciale della transizione in Libia.
La risposta è arrivata da un gruppo armato che ha occupato la televisione libica.
Ma l’attività di Kobler e dell’Onu (e del governo italiano), non convincono uno che di Libia, Medio Oriente e Africa se ne intende, Paolo Scaroni, vicepresidente della banca Rotschild ed ex amministratore delegato di Enel ed Eni, che oggi in un’intervista al Corriere della Sera dice che bisognerebbe puntare a «Un governo regionale in Tripolitania. Per finirla con la finzione della Libia, puntando più realisticamente a una stabilizzazione parziale. Un esecutivo più facile da far nascere, dal quale arriverebbe finalmente l’appello dalla comunità internazionale per un intervento che lo sostenga e al contempo agisca contro l’Isis». A parte che la finzione della Libia convinceva parecchio Scaroni e la Confindustria quando facevano affari con Gheddafi, è chiaro che l’ex amministratore delegato dell’Eni, pensa ancora con trasporto ai giacimenti “italiani” scippatici dall’intervento occidentale voluto dalla coalizione franco-britannica e preclusi dalle bande armate che abbiamo contribuito a far nascere e ad armare.
Scaroni ha ragione quando dice che la Libia è la «prima emergenza nazionale» ma ha uno sbocco di colonialismo quando aggiunge «perché è casa nostra. Credo che avere uno Stato fallito a 80 chilometri dalle nostre coste sia un rischio enorme». Ma questo rischio non lo si evita certo costruendo una colonia petrolifera nella Tripolitania gestita dagli occidentali e mettendo in sicurezza i giacimenti Eni. Anche perché il resto della Libia si trasformerebbe in almeno due Stati falliti, il Fezzan e Cirenaica, ancora più pericolosi e instabili e che si sosterranno ancora di più con il traffico di petrolio e di esseri umani e che diventeranno ancora di più il covo e il retroterra delle milizie jihadiste.
Su un’altra cosa però Scaroni ha ragione: «È da mesi, se non da anni, che ci viene ripetuto il refrain: possiamo intervenire in Libia solo se un governo legittimo ce lo chiede. Il punto è che questo governo solido non riusciamo a vederlo. Si succedono aborti di governi, delegittimati nello spazio di poche ore, in conflitto tra di loro».
Ma quale sia la prospettiva con la quale Scaroni guarda al Medio Oriente viene fori bene quando risponde alla domanda del giornalista del Corriere della Sera sul caso Regeni: «Fino a che punto si possono accettare bugie e depistaggi da parte del governo egiziano, senza mettere in campo misure politiche ed economiche contro il Cairo? Abbiamo interessi enormi in Egitto, dopo la scoperta del giacimento di Zohr che vede l’Eni impegnata in prima persona. Sono anche questi a frenarci?»
Scaroni risponde con un esempio di gattopardismo notevole: «Faccio solo due osservazioni. Mi sembra un po’ presto per tirare le conclusioni della vicenda Regeni. Primo, dobbiamo essere vigili ed esser certi di non essere presi in giro, per rispetto della famiglia e per la nostra stessa dignità nazionale. Le conclusioni vanno tirate quando sarà chiaro se hanno voglia di darci una risposta seria o meno. Secondo, il maggior interesse al gas di Zohr non è dell’Eni o dell’Italia ma dell’Egitto stesso, che ne ha un bisogno disperato. Con lo sviluppo di quel giacimento, il Cairo tornerà infatti a essere autosufficiente. Per questo vanno valutate reazioni intempestive, che invece di punire il colpevole, finiscano per penalizzare la parte sbagliata».
Sono state proprio le reazioni “tempestive” di chi la pensa come Scaroni che hanno permesso di creare in Medio Oriente e in Africa dittature e regimi autoritari petroliferi “affidabili”, che quando collassano si portano dietro i loro Stati falliti, mentre le multinazionali petrolifere cercano sostituti e propongono ingegnerie istituzionali e nascite di nuove colonie.

Fonte: Green Report 

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