di Marco Boccitto
Boko Haram getta la spugna? La notizia della resa da parte dell’organizzazione jihadista – più volte annunciata dalle autorità nigeriane e ogni volta smentita dai fatti – è cominciata a circolare nella mattinata di giovedì e molti, anche in Italia, l’hanno presa per buona. Notizia nella notizia era sembrata peraltro la riapparizione di una delle principali video-star del jihadismo globale, Abubakar Shekau, uno che non ha atteso la nascita dello Stato islamico per creare il suo califfato. Il conflitto che ne è seguito solo nel 2015 ha provocato quasi 7 mila morti, quasi tutti civili, e dal nord-est della Nigeria si è esteso a territori, popolazioni ed eserciti di Camerun, Ciad e Niger.
Dato ora per morto, ora per detronizzato, solitario y final, Shekau rifà dunque capolino in un video di pessima qualità. C’è l’abituale kalashnikov parcheggiato sullo sfondo, non proprio una scenografia ideale per annunciare la sconfitta, chiedere perdono e ordinare il si salvi chi può.
Il tono sì, sembra dimesso, ma è sul contenuto che i vari interpreti si spaccano. L’audio è cisposo e crepitante, tanto che interpretare il mix di hausa e arabo con cui si esprime Shekau non deve essere facile neanche per i madrelingua. Di qui la gara di esegesi che si è scatenata intorno al messaggio, che per alcuni è chiaro e tutt’altro che arrendevole, vuole dire «io ci sono», diamoci dentro, mentre per altri è un altrettanto forte e chiaro «rompete le righe».
Il tono sì, sembra dimesso, ma è sul contenuto che i vari interpreti si spaccano. L’audio è cisposo e crepitante, tanto che interpretare il mix di hausa e arabo con cui si esprime Shekau non deve essere facile neanche per i madrelingua. Di qui la gara di esegesi che si è scatenata intorno al messaggio, che per alcuni è chiaro e tutt’altro che arrendevole, vuole dire «io ci sono», diamoci dentro, mentre per altri è un altrettanto forte e chiaro «rompete le righe».
Se fosse vera la seconda ipotesi, Shekau potrebbe seriamente pensare di andare a godersi la pensione in Belgio.
Fonte: il manifesto
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