di Antonio Sciotto
Ennesima fumata nera sul contratto dei metalmeccanici, e siamo già alla quattordicesima. Il fallimento era nell’aria – Fim, Fiom e Uilm avevano chiesto un incontro a Federmeccanica e Assistal, ma senza troppe speranze – le trattative però non si sono interrotte: è già stato calendarizzato un incontro tecnico il 30 marzo sugli inquadramenti, mentre per il confronto sulle piattaforme per ora non c’è una data. I sindacati, comunque, hanno proclamato uno sciopero: 4 ore il 20 aprile, precedute da assemblee. Una formula più soft rispetto a quella classica (8 ore con manifestazione nazionale), forse con la speranza che nel frattempo le cose si muovano. Sul welfare l’intesa è quasi chiusa, mentre lo scoglio resta il salario.
«Noi non ci alzeremo mai dal tavolo», hanno detto i presidenti di Federmeccanica e Assistal, Fabio Storchi e Angelo Carlini. «E noi siamo ancora meno disposti a lasciare il negoziato», ribattono Marco Bentivogli, Maurizio Landini e Rocco Palombella, segretari di Fim, Fiom e Uilm. Insomma, nessuno vuole essere quello che rompe, ma dall’altro lato non si sono visti avanzamenti nelle posizioni.
«C’è una profonda delusione – ha commentato Bentivogli – Federmeccanica si è letteralmente marmorizzata sulla sua piattaforma».
«C’è una profonda delusione – ha commentato Bentivogli – Federmeccanica si è letteralmente marmorizzata sulla sua piattaforma».
«Basta soldi a pioggia»
Ma cosa mettono sul tavolo le imprese? Storchi lo definisce un «rinnovamento» del contratto nazionale. Una rivoluzione, a dire il vero, a cui guardano i vertici di Confindustria (e in particolare i candidati alla successione di Giorgio Squinzi, prevista in maggio): basta aumenti generalizzati e uguali per tutti. Il contratto nazionale diventa una «cornice», il testo dove vengono fissati i minimi di tutela per le diverse figure: gli aumenti fissi e certi verranno erogati solo a chi sta sotto.
«Per tutti gli altri, su questo fronte, non ci saranno incrementi», hanno spiegato Storchi e Carlini. Gli aumenti (eventuali) si andranno a concentrare su altri capitoli: alcuni, come il welfare, in parte garantiti nel nuovo schema che si sta chiudendo con il sindacato. Ma quelli che andranno a incidere direttamente in busta paga saranno, almeno per come la vedono gli imprenditori, del tutto variabili. «Dobbiamo cambiare il paradigma – ha spiegato il presidente di Federmeccanica – Se vogliamo che l’economia riparta, non si possono più erogare aumenti a pioggia, che affossano le imprese e distruggono occupazione. Si distribuirà solo dove verrà prodotta ricchezza».
Ecco lo schema proposto: Federmeccanica dispone che vi siano 260 euro annui lordi per i tre anni di vigenza del contratto, a disposizione della contrattazione integrativa; nelle imprese dove si riuscirà a siglare il secondo livello, questi soldi si potranno tradurre in aumento di salario reale. Ma per tutte i casi dove non si fa contrattazione integrativa? «L’azienda dovrà comunque erogare i 260 euro lordi, ma in prestazioni aggiuntive di welfare – precisa Storchi – A patto però che si sia prodotta ricchezza: il criterio è sempre quello, dove non si produce, nessun aumento».
«Deregulation insostenibile»
Uno schema che non convince per niente il sindacato. «In questo modo avranno l’aumento solo il 5% dei lavoratori, tutti gli altri resteranno scoperti», dice Palombella della Uilm. «Federmeccanica ci ha costretto allo sciopero, pare quasi che lo abbia invocato – gli fa eco Bentivogli della Fim – È un modello che non conviene neanche alle stesse imprese, perché dà il via a una devolution contrattuale per il 95% di loro». «Il contratto nazionale deve mantenere la funzione centrale e regolativa per gli aumenti orari – aggiunge Landini – Al contrario qui si propone un sistema che delega tutto al variabile, e il secondo livello diventa quello unico». Bisogna quindi «far cambiare idea alle imprese, con lo sciopero». Che sarà unitario: ormai Fim, Fiom e Uilm marciano insieme.
Riguardo agli altri aspetti, dove non si chiude solo per un problema di quantità, le imprese hanno riconosciuto il diritto individuale alla formazione, mettendo sul piatto 300 euro a triennio e 24 ore di permesso. Quanto all’assistenza sanitaria integrativa, attualmente le aziende mettono 6 euro al mese e i lavoratori 3: si salirebbe da questi 9 fino a 13, tutti a carico dell’impresa, e includendo i familiari a carico. Previdenza complementare: si passa dall’1,6% di contributo al 2% a favore del Fondo Cometa (7 euro al mese). Secondo Federmeccanica è una polizza che complessivamente vale 700 euro annui, mentre per i sindacati non si deve calcolare il valore di mercato ma quanto realmente le aziende sborsano, ovvero 240 euro annui (20 al mese).
«Sul welfare si accolgono nostre richieste decennali – concludono i sindacati – ne prendiamo atto ed è una cosa positiva, ma sul salario per ora il contratto non si chiude».
Fonte: il manifesto
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