di Antonio Castrofino
Con le trivellazioni non corriamo rischi ci dicono, ma eccone la dimostrazione contraria. A 120 km da Lampedusa nel nostro Mediterraneo: il petrolio fuoriesce alle isole Kerkennah, ed è subito crisi ambientale e sociale.
Il 13 marzo in Tunisia, al largo di Sfax, la società proprietaria dell’installazione, la Thyna Petroleum Service, ammette la rottura di una tubazione di controllo sopra il livello del mare del pozzo di estrazione Cercina 7. Le chiazze di petrolio sono giunte sino alla riva, in una zona la cui economia si basa su pesca e turismo, e hanno immediatamente provocato le proteste della popolazione locale contro la Petrofac, una compagnia britannica specializzata nella fornitura di servizi all’industria petrolifera, mentre i rappresentati delle istituzioni minimizzano l’accaduto. Ma la notizia a meno di un mese dal referendum sulle trivelle rimane totalmente silenziata dai media.
Ed eccoci qua, ad una settimana dall’accaduto, ad assistere all’ennesima dimostrazione di come una crisi ambientale per mano umana possa avvenire in qualsiasi momento, in qualsiasi territorio e porti con sé tutta la drammaticità di una emergenza che non coinvolge solo la natura e l’ecosistema ma anche la vita quotidiana delle persone e il loro futuro.
E si, perché in tutto il mondo, è bene ricordarlo, dall’inizio di questo secolo si sono registrate emergenze gravissime, dovute alla fuoriuscita di greggio dagli impianti, che hanno sconvolto interi Paesi: dal tragico incendio sulla piattaforma petrolifera nel mar Caspio che ha visto morire 32 persone, alla “marea nera” di Santa Barbara in California con i suoi 80.000 litri di petrolio sversati nel Pacifico; dalla crepa di una tubatura a 180km da Aberdeen (Scozia) dalla quale si persero circa 1300 barili di petrolio (pari a 200.000 litri), alle oltre 500.000 tonnellate che hanno caratterizzato il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, affiliata alla British Petroleum, nel Golfo del Messico (106 giorni di sversamento); fino a giungere allo sversamento di 3.840 metri cubi, 3,84 milioni di litri di petrolio, dalla piattaforma Statfjord nel mare del Nord in Norvegia.
Oggi è l’azzurro del Mare Nostrum, che vediamo nelle immagini tinto tristemente di nero, ad essere in pericolo. Il Mar Mediterraneo è un bacino meraviglioso, che ospita il 20% della biodiversità marina globale, ed un eventuale disastro ambientale lo inquinerebbe per circa 100 anni, essendo un mare semichiuso con un difficile rinnovamento della massa d’acqua superficiale.
Per questo quando parliamo di trivellazioni il rischio di disastro aumenta vistosamente, al contrario di quanto i “rassicuranti” rappresentanti del Pd continuano a sostenere da settimane, pur dimenticandosi il loro “glorioso” trascorso no-triv, per cercare di smorzare l’apprensione su di un referendum scomodo al loro governo e per giustificare la loro ufficiale posizione di “astensione” su questa tematica. Di certo adesso non so in quanti vorranno dire ancora che la campagna referendaria contro le trivelle in mare sia poi così “inutile”.
Perché si, quando noi il 17 aprile voteremo “Si”, non lo faremo pensando esclusivamente al quesito tecnico referendario per la proroga delle concessioni alle multinazionali del petrolio entro le 12 miglia marine, e neanche esclusivamente per evitare una procedura d’infrazione europea per violazione della libera concorrenza, ma lo faremo per incominciare con forza a contrastare una visione del futuro ancora ancorato ai combustibili fossili, una strategia energetica nazionale tutta da rivedere, per contrappore ad un’idea di mondo insostenibile e impraticabile, in perenne pericolo, una visione del mondo diversa, che guardi alle fonti di energia rinnovabili con rinnovato interesse, cosciente della necessità di contrastare i cambiamenti climatici in corso.
Il referendum del 17 aprile sarà importante perché tutte le cittadine e i cittadini italiani avranno la possibilità tangibile di uscir fuori dal coro delle voci bianche che allegramente sostengono le multinazionali del petrolio e hanno deliberatamente distolto gli occhi e le orecchie da loro. Il referendum sarà lo strumento che darà un peso democratico e non più trascurabile al conflitto sociale che ha vissuto e sta vivendo questo Paese e per questo spaventa coloro che invece credono che la democrazia evidentemente sia accessoria al loro potere di agire.
Noi voteremo “Si” perché sentiamo che dinnanzi alla vita e alla salute di tutti non basta la garanzia di pochissima indipendenza energetica, che non c’è; non basta la bugia della perdita di posti di lavoro così come non bastano le rassicurazioni sulla sicurezza. Questo governo ha cercato in tutti i modi di non arrivare alla consultazione referendaria, sentendo il peso di un giudizio sul suo operato, agendo sui quesiti referendari con la Legge di Stabilità, non accorpando il referendum (cosa che sarebbe stata possibile con una nuova proposta di legge tra l’altro da noi depositata) alle elezioni amministrative per “garantire” anche la possibilità che il quorum non si raggiunga (come sostenuto da Matteo Renzi) e arrivando a “demonizzare” i presidenti di regione che non pensando ai bambini e ai loro asili “sprecano” così 350 milioni di euro.
Marco Furfaro del Gruppo Operativo di Sinistra Italiana commenta: «Credo sia davvero sconcertante il silenzio con cui i media Italiani stanno facendo passare questa notizia che vede coinvolto il nostro mare, a soli 120 km dal nostro Paese e a meno di un mese da un momento importante come il referendum. Le trivellazioni fanno parte di una logica che dobbiamo rigettare con forza ed il 17 aprile voteremo “Si” pensando non di andare contro a questo Governo assoggettato alle multinazionali del petrolio ma pensando al futuro e alla vita delle persone, ascoltando la loro richiesta di cambiamento e di democrazia».
Fonte: Sinistra Ecologia Libertà
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