di Nadia Urbinati
La Sinistra sembra non interessare più. Non fa notizia il suo declino. Fanno notizia solo le liti tra coloro che ad essa si appellano, per rappresentarne la memoria più che per cercare di attuare politiche coerenti ai suoi ideali. Nella democrazia del mercato i voti contano come i denari – bisogna averne tanti per contare e quindi conta vincere le elezioni. E poiché la Sinistra non porta voti non fa vincere, viene messa in soffitta, un luogo dove si va per aprire scatole impolverate e pieni di ricordi. Ma perché la Sinistra è in sofferenza e il suo destino non interessa più?
Potremmo dire, cercando di rispondere a questa difficile domanda, che la sofferenza della sinistra democratica segnala la difficoltà di trovare un punto di riferimento solido che stia oltre le figure politiche individuali, oltre i leader rappresentativi, e invece nei processi sociali e nelle costruzioni ideali che tengono insieme forme collettive. è nel partito che le trasformazioni e le ricerche possono e devono trovare radicamento, in un movimento collettivo. Ma oggi mentre ci sono molti “eghi” di sinistra manca una leadership collettiva di sinistra. La leadership in solitudine non basta e in alcuni casi può essere ostruttiva del processo di trasformazione.
La difficoltà a tenere insieme un’unione politica organizzata è segno di una difficoltà più radicale. Quella di tenere insieme libertà e giustizia – un problema classico, che ritorna ogni qualvolta una crisi economica lacerante e profonda impone agli attori politici, ai cittadini e ai leader, di scegliere. In un clima di scarsità delle risorse, come è quello in cui ci troviamo, finita la fase di crescita espansiva dei consumi e della programmazione via Stato della redistribuzione della ricchezza tra eguali cittadini della nazione democratica, la Sinistra nei Paesi occidentali, ed europei soprattutto, ha cominciato a registrare una reale crisi di identità e un declino di identificazione. Si tratta di un fenomeno non recentissimo e che ha preso i caratteri specifici dei Paesi di appartenenza.
La crisi della cultura della Sinistra – crisi delle idealità socialiste e rivoluzionarie- è da cercare nel mutamento radicale della concezione di progresso e di giustizia sociale. La visione che circola egemone oggi è che i diritti sociali, una eguale distribuzione delle opportunità, l’assicurazione pubblica sulla salute e la vecchiaia siano richieste troppo costose e addirittura dei “lussi” o dei “privilegi”. Privilegi perché distribuiti a “pioggia” fra tutti – sembra oggi che essere cittadini eguali (sovrani democratici) non sia più una ragione sufficiente per condividere opportunità e costi. L’uguaglianza di opportunità e la condizione per formare le capacità individuali: questi non sono più obbiettivi pubblici e del pubblico. E infatti, sembra che il pubblico non sia per tutti nel caso delle questioni sociali ma solo per chi ne ha bisogno ed è bisognoso – bisogna meritarselo. E merito significa in questo caso che non si è poveri abbastanza per meritarsi il sostegno del pubblico.
Il pubblico è mutato di segno e di significato – prima di tutto perché gestito secondo i metodi e i criteri delle aziende (non si scelgono come sindaci dei buoni affaristi o amministratori delegati?) che non conosce l’etica dell’equa distribuzione ma la logica del profitto. è in questa cornice che si ritiene e si sostiene che il pubblico debba designare un intervento che deve essere meritato: pubblico come rete di carità per cittadini bisognosi. Chi può deve farcela da solo e, anzi, deve sentirsi orgoglioso di farcela da solo. Quindi aiuto pubblico designa una condizione di fallimento. è dalla connesione tra bisogno e merito che parte la sofferenza della sinistra.
Fonte: Left
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