di Altreconomia
Alla mezzanotte del 10 aprile 2016, quando sarà passato poco più di un anno dall’avvio del conflitto, in Yemen dovrebbero fermarsi ogni combattimento, secondo quanto annunciato ieri dall’Inviato speciale delle Nazioni Unite nel Paese, Ismail Ould Cheikh Ahmed. Otto giorni dopo dovrebbe iniziare, in Kuwait, i negoziati di pace. Secondo le Nazioni Unite, un anno di guerra (le prime bombe sono cadute il 25 marzo 2015) ha causato decine di morti e feriti. Uno yemenita su dieci risulta “discplaced”: ha, cioè, perso la propria abitazione. Quasi la totalità della popolazione del Paese più meridionale della Penisola arabica, oltre 24 milioni di persone, avrebbe bisogno urgente di aiuti umanitari.
Alla vigilia del primo anniversario dell'inizio del conflitto dello Yemen, Amnesty International ha chiesto agli Stati (tra cui Usa, Regno Unito e Italia) di interrompere tutti i trasferimenti di armi destinate a essere usate nello Yemen, in modo che non si alimentino ulteriormente le gravi violazioni dei diritti umani che hanno finora avuto conseguenze devastanti per la popolazione civile.
Nell'ultimo anno, oltre 3mila civili -tra cui 700 bambini- sono stati uccisi. "Trascorso un anno, la risposta della comunità internazionale al conflitto dello Yemen è stata profondamente cinica e del tutto vergognosa" ha dichiarato James Lynch, vicedirettore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
Il primo attacco aereo dell'Arabia Saudita contro il gruppo armato huthi risale al 25 marzo 2015. Da allora, si è sviluppato un conflitto armato in cui tutte le parti hanno commesso ampie violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, compresi possibili crimini di guerra.
La scorsa settimana, un portavoce della coalizione diretta dall'Arabia Saudita ha affermato che le principali operazioni militari sono destinate a finire presto, ma ha anche precisato che la coalizione continuerà a fornire supporto aereo alle forze anti-huthi.
“Per tutto lo scorso anno- spiega un comunicato di Amnesty- gli Usa e il Regno Unito, di gran lunga i principali fornitori di armi all'Arabia Saudita, Paese guida della coalizione, e altri stati tra cui l'Italia, hanno continuato ad autorizzare trasferimenti di quel genere di armi che sono state usate per commettere e facilitare gravi violazioni e generare una crisi umanitaria senza precedenti”.
"I partner internazionali dell'Arabia Saudita hanno gettato benzina sul fuoco, sommergendo la regione di armi nonostante fosse sempre più evidente che quelle armi stavano facilitando il compimento di crimini agghiaccianti e che successive forniture avrebbero potuto essere usate per commetterne altri. Ma non solo: quei Paesi non hanno neanche saputo istituire una commissione d'indagine indipendente e internazionale sulle violazioni che hanno devastato migliaia di vite civili" ha aggiunto Lynch.
"Gli irresponsabili e illegali flussi di armi alle parti in conflitto nello Yemen hanno contribuito direttamente a causare ai civili sofferenze su vasta scala. Ora è il momento che i leader mondiali la smettano di mettere gli interessi economici al primo posto e che il Consiglio di sicurezza imponga un embargo totale ai trasferimenti di armi destinate a essere usate nello Yemen" ha proseguito Lynch.
Il 25 febbraio il Parlamento europeo ha chiesto all'Unione europea d'imporre un embargo nei confronti dell'Arabia Saudita. Il 15 marzo il parlamento olandese ha chiesto al governo di porre fine ai trasferimenti di armi all'Arabia Saudita. In assenza di un embargo decretato dal Consiglio di sicurezza, Amnesty International chiede a tutti gli stati di assicurare che nessuna parte coinvolta nel conflitto dello Yemen riceva, direttamente o indirettamente, armi, munizioni, equipaggiamento o tecnologia militare che potrebbero essere usati nel conflitto. Tale assicurazione deve comprendere anche il sostegno logistico e finanziario a tali trasferimenti.
Anche in Italia a partire dal settembre 2015, Rete italiana per il disarmo, Osservatorio OPAL e Amnesty avevano chiesto al governo di sospendere l’invio di bombe e sistemi militari alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita. “Armi che non avrebbero mai dovuto raggiungere quel teatro di conflitto –aveva ricordato Francesco Vignarca, coordinatore di Rete disarmo- in quanto la nostra legge sull'export di materiale militare (185/90) vieta espressamente forniture verso paesi in guerra”.
Fonte: Altreconomia
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