di Antonella Soldo
Esce in questi giorni in libreria Un vuoto dove passa ogni cosa una raccolta di scritti politici e letterari di Mariateresa Di Lascia, pubblicata dalle Edizioni dell’asino (pp. 225, euro 12). Si tratta di un volume che prova a riprendere un discorso interrotto oltre vent’anni fa.
Era il 1995 quando una sconosciuta Mariateresa Di Lascia si aggiudica il Premio Strega con Passaggio in Ombra (Feltrinelli). Sconosciuta lo era al mondo dell’editoria e al pubblico che accolsero con stupore ed entusiasmo questo romanzo. Ma fino ad allora il suo talento di scrittrice era rimasto celato persino a quanti l’avevano frequentata e sapevano del suo impegno all’interno del Partito radicale, di cui era stata vicesegretaria e deputata. Di tempo per recuperare, per approfondire e saperne di più di lei, però, non ce n’era più: Mariateresa se ne era andata nel settembre del 1994, sconfitta da un tumore. Aveva quarant’anni.
Con il passare del tempo, il ricordo della sua figura finì per coincidere con quello dell’autrice di un bellissimo romanzo, spingendo tuttavia sullo sfondo la sua storia politica. Nella letteratura qualcuno azzardò: «la Di Lascia avrebbe ripiegato per trovare conforto alle delusioni dell’attività pubblica». Eppure i testi di questa raccolta ci raccontano altro: ovvero di come le due sfere della politica e della letteratura abbiano costantemente convissuto nel suo approccio e nella sua prassi, pur non risolvendosi mai in note soluzioni di sintesi come quelle offerte da una «letteratura impegnata». Quello della Di Lascia si potrebbe definire un metodo di scavo, sottoposti al quale anche i più classici dei «temi radicali» sono esplorati palmo a palmo e chiamati a fare i conti con se stessi. Dall’antiproibizionismo all’aborto, dall’ecologia alla giustizia. Soprattutto la giustizia: sarà, infatti, proprio la radicalità dell’indagine condotta in questo campo a rendere possibile la maturazione del progetto di abolizione della pena di morte rappresentato da Nessuno Tocchi Caino.
Ogni pagina in questo volume restituisce lo sforzo proprio di un modello di vita totalizzante, e di un discorso fatto col corpo e sul corpo, che non risparmia un fiato, una goccia di sangue. Da qui il richiamo costante alla responsabilità individuale, che è poi il senso ultimo della nonviolenza e degli atti nonviolenti come lo sciopero della fame, di cui l’autrice restituisce, forse, la migliore definizione e comprensione mai raggiunta. Ed è ancora nella semplicità e nel rigore di quest’appello alla responsabilità di ognuno che svela la sua forza un sentimento «femminile». Si tratta, però, di una declinazione della femminilità in ambito politico del tutto inedita, che non conserva nulla dell’impostazione «emancipazionista». Nelle istanze di egualitarismo, di pari distribuzione di potere, redditi e ruoli sociali è denunciata una rivendicazione usurata, che finisce col risolversi in un’assunzione mimetica di valori maschili. Al contrario, qui, il femminile è un metodo che porta in sé la fatica di non cedere al mondo della norma – che è norma maschile.
Gli strumenti di lotta sono quelli dei sentimenti lievi: la pace contro il pacifismo; la nonviolenza contro la forza della prevaricazione; la responsabilità contro il disamore. È nel pudore dell’intimità, che si raggiunge la percezione e la conoscenza della cifra esatta del dolore. Così l’indagine sullo stare al mondo e sulle possibilità che ci vengono date ad ogni passo cede alla visione, va incontro all’utopia. Utopia che non è un incompiuto minaccioso, ma una possibilità mite – un guardare dove gli altri non guardano – che in definitiva aspira a non essere più necessaria.
Questo, dunque, è un libro di politica e sulla politica. Ma, come avvertiva la Di Lascia: «la politica così come la facciamo noi è anche il nostro vivere». Ed è per questo che, proprio in giorni come i nostri, in cui la parola e l’azione hanno perso di forza e di intensità, isterilite in dispositivi televisivi e rigettate da sentimenti diffusi e sempre più radicati di anti-politica, lo sguardo di questa donna si rivela così assolutamente necessario.
Fonte: il manifesto
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