di Alessandro Gilioli
Nel 1973 Richard Nixon, già in mezzo al casino del Watergate, ebbe la pessima notizia che il suo vice Spiro Agnew era stato beccato per aver evaso le tasse. Due scandali erano troppi da reggere, così Nixon sacrificò Agnew e chiamò al suo posto un deputato di terza fila ma di riconosciuta rettitudine, Gerald Ford. L'onesto Ford, che serviva per cercare di migliorare l'appannatissima immagine della Casa Bianca. Mi è tornata in mente questa vicenda di tanti anni fa leggendo della tribolata campagna di Roberto Giachetti, a Roma.
Un uomo perbene che si aggira per la capitale cercando di far dimenticare tutto quello che ha fatto per anni il Pd in città: le correnti, le clientele, gli impresentabili, i baci in bocca ai peggiori potentati economici, passando per mafia capitale e per il golpetto notarile con cui ha divorato il suo stesso sindaco, fino alle primarie flop del 6 marzo scorso, con tanto di schede bianche gonfiate per farle sembrare meno flop.
Un compito immane, povero Giachetti.
Di qui il suo sforzo ciclopico per dire a tutti che non è stato «messo lì per perdere», che non è «un candidato al martirio»: e si sa, la gallina che canta ha fatto l'uovo. Se lo dice, è perché sa che è proprio così.
Chiacchieravo l'altro giorno con un amico che lavorerà nel suo staff e un po' per scherzo un po' no gli dicevo: guarda che, con quello che ha combinato il Pd a Roma, il tuo potrebbe farcela solo liberandosi il più possibile dal Pd medesimo. Dalla sua immagine.
Un po' Giachetti sta cercando di farlo, in effetti, contrapponendo i suoi digiuni al magna-magna a cui ha partecipato il suo partito.
Ma più in là di così non può andare, perché l'ha messo lì il Pd.
Di qui l'altra opzione scelta per la campagna elettorale, non so se dallo stesso Giachetti o direttamente dal Pd: attaccare a testa bassa la semisconosciuta Raggi, la candidata del M5S. Il cui maggior asset politico è proprio quello di non aver preso parte dalla mangiatoia. Il che non è poco, in una città che nell'ultimo decennio ha visto passare lanzichenecchi di centrodestra e di centrosinistra ugualmente voraci.
Attaccano Raggi, dicevo, su tutto. Hanno cominciato con il suo praticantato di neolaureata: non so con quali risultati, ma credo che non a moltissimi importi davvero dove ha iniziato a lavorare Raggi a 25 anni.
Poi è successa una cosa ancora più interessante. Raggi ha detto che da sindaco cambierebbe i vertici Acea: società posseduta in maggioranza dal Comune dove però Caltagirone fa il bello e il cattivo tempo pur possedendone solo il 15 per cento, proprio per le inestricabili cointeressenze tra partiti e potentati che ci sono a Roma.
Immediatamente Caltagirone ha reagito, furioso, attraverso un suo giornale, il Messaggero.
E cosa fa il Pd? Si mette subito in mette in scia a Caltagirone. Cioè riprende pari pari la bufala interessata di uno dei vecchi padroni della città, ne produce infografiche e le diffonde on line, con l'hashtag #raggiamari.
L'autogol ha qualcosa di incredibile: in una città strangolata da poteri forti proprio come Caltagirone, il partito che più avrebbe bisogno di emancipare la sua immagine da questi poteri forti si fa megafono degli interessi di uno di essi, e di certo non l'ultimo per invadenza nella cosa pubblica.
Ce ne ha da camminare, Giachetti, con una compagnia simile. E con una campagna elettorale simile.
Ah, tra l'altro: alla fine, nonostante la scelta di pescare dal mazzo un vice onesto, anche Nixon dovette dimettersi. E il vice onesto perse le elezioni subito dopo, per poi sparire nel nulla.
Fonte: L'Espresso online - blog Piovono Rane
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