di Marina Catucci
Mentre il Pentagono prepara i piani per un nuovo intervento in Libia, le dichiarazioni di Obama nella lunga intervista rilasciata a The Atlantic, sull’opportunità dell’intervento del 2011 nella stessa regione, non potevano, prevedibilmente, cadere nell’indifferenza.
Obama aveva puntato il dito specialmente su Regno unito e Francia. Il presidente ha usato parole dure; tuttavia il portavoce del consiglio di sicurezza nazionale, Edward Price, è stato rapido nel rassicurare Londra sul fatto che gli Stati uniti continuano ad apprezzare i contributi del britannici sugli obiettivi comuni per la sicurezza nazionale e la politica estera, obiettivi che riflettono un rapporto che è stato definito speciale.
David Cameron, ha continuato Price, è stato «il partner più vicino che il presidente ha avuto»; anche l’ambasciatore degli Stati uniti a Londra, Matthew Barzun, è tornato sulle parole di Obama sul rapporto tra Washington e Londra, affidando il messaggio a Twitter: «Il nostro è un rapporto essenziale, speciale e questo era vero ieri, è vero oggi e sarà vero domani. Abbiamo lavorato a lungo insieme per un mondo più pacifico, prospero e giusto. Guardate la Nato, l’Iran, la lotta al terrorismo, ad Ebola, gli scambi commerciali e gli aiuti».
Le osservazioni di Obama arrivano durante una campagna presidenziale dove per i democratici corre Hillary Clinton, già ampiamente criticata da entrambi i fronti, quello repubblicano ma anche quello democratico, per la sua politica interventista contro Gheddafi, quando era segretario di Stato.
Le parole di Obama nell’intervista potrebbero pesare in positivo nei confronti di Bernie Sanders, che continua il suo testa a testa con la candidata (per ora in vantaggio), ponendo molto l’accento su quanto diverse siano le proprie posizioni in materia di politica estera e uso della forza militare.
Durante uno degli ultimi dibattiti Hillary, a un elettore che l’aveva espressamente interrogata a riguardo, aveva riposto che l’uso della forza militare per risolvere casi di sicurezza nazionale come di conflitto internazionale, durante una sua presidenza, non sarebbero esclusi a priori, contro Sanders che continuava a sottolineare come dei fronti di guerra non necessari non facciano altro che impoverire l’America privandola di risorse che potrebbero essere impiegate su fronti interni come l’istruzione e la sanità e non portano di fatto dei benefici verso le popolazioni locali, spesso lasciate sole in vuoti di potere pericolosi.
Il tema degli Stati uniti come polizia del mondo o meno, e l’opportunità (e la capacità) di ristabilire equilibri democratici dove esistono situazioni critiche, è uno dei temi ricorrenti della campagna elettorale di tutti i candidati, per la difficile situazione attuale in Libia in molti puntano il dito verso la Clinton che al momento non ha rilasciato dichiarazioni riguardo l’intervista ad Obama, ne le è stato chiesto di fornire il suo parere.
Entrambi i candidati democratici si presentano come un’ideale continuazione dell’amministrazione Obama, intesa come linea da seguire verso un futuro di giustizia sociale ed economica più allargato, su come arrivare a ciò, se costruendo sulla base dei successi ottenuti da Obama o se rifacendo da zero ciò che non è andato completamente a buon fine, è la linea di demarcazione tra i due; su come i candidati interpretano l’idea di continuità riguardo la Libia ora è tutto da ridiscutere.
Come ha già fatto riguardo l’intervento in Iraq, Hillary potrebbe ammettere di aver sbagliato anche per la Libia, anche se nel secondo caso non si è limitata a votare a favore ma, come segretario di Stato è stata il vero motore che ha spinto nella direzione di un intervento americano in quella zona nel 2011.
Sul lato dei repubblicani che, invece, rivendicano sia il ruolo di polizia mondiale, che ipotesi muscolari per difendere la sicurezza nazionale, il caso è solo funzionale: la situazione in Libia, dopo l’intervento del 2011, non si può dire migliorata e la colpa dei problemi della popolazione come quella del vuoto di potere per una mancata ricostruzione, va data a Hillary Clinton.
Fonte: il manifesto
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