di Giuliano Santoro
Sono i familiari delle vittime di abusi polizieschi. Le istituzioni dovrebbero chiedere loro scusa. Ma per avere udienza, dovranno oltrepassare i confini nazionali e arrivare fino a Bruxelles. Lo faranno il 15 marzo prossimo, quando – in occasione della Giornata internazionale contro la violenza poliziesca – una nutrita delegazione porterà al Parlamento europeo le storie di mala polizia. Le ha raccolte in un dossier Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa che organizza la missione belga assieme all’eurodeputata della Sinistra unitaria europea Eleonora Forenza.
Ci saranno i volti e le storie tragiche dei parenti delle vittime, che hanno dovuto sfidare il silenzio per rivendicare giustizia: Ilaria Cucchi (sorella di Stefano), Lucia Uva (sorella di Giuseppe), Claudia Budroni (sorella di Dino), Grazia Serra (nipote di Francesco Mastrogiovanni), Domenica Ferrulli (figlia di Michele), Andrea Magherini (fratello di Riccardo) e Osvaldo Casalnuovo (padre di Massimo).
«Vogliamo portare in Europa quella che chiamiamo l’anomalia italiana – spiega Luca Blasi di Acad – fatta di torture, alimentata da un sistema penale sbilanciato, coltivata dalle emergenze permanenti. I casi che in questi anni abbiamo seguito non sono opera di qualche mela marcia ma sintomo di un deficit strutturale nei corpi di polizia e nella macchina delle giustizia. Chi calpesta i diritti gode di appoggi mediatici, coperture giuridiche e sostegno politico. Prova ne è la mancanza di una legge sul reato di tortura».
«Vogliamo portare in Europa quella che chiamiamo l’anomalia italiana – spiega Luca Blasi di Acad – fatta di torture, alimentata da un sistema penale sbilanciato, coltivata dalle emergenze permanenti. I casi che in questi anni abbiamo seguito non sono opera di qualche mela marcia ma sintomo di un deficit strutturale nei corpi di polizia e nella macchina delle giustizia. Chi calpesta i diritti gode di appoggi mediatici, coperture giuridiche e sostegno politico. Prova ne è la mancanza di una legge sul reato di tortura».
Impossibile non menzionare gli abusi commessi nei giorni del G8 di Genova. Eleonora Forenza quindici anni fa era in quelle strade, da giovanissima manifestante. Presentando l’iniziativa dell’audizione, ci tiene a sottolineare come la repressione colpisca in tutta l’Europa. Basti pensare ai casi delle leggi contro i movimenti in Spagna, alla violazione dei diritti dei migranti e alle deroghe al diritto dello stato d’emergenza in Francia. «Tutto ciò – dice la parlamentare europea – è anche l’altra faccia dell’austerità. È in questo contesto che si dipana il ‘caso Italia’ con le sue specificità».
Ilaria Cucchi ammette che in passato aveva osservato queste faccende con un certo distacco. «Non avrei mai pensato che sarebbe successo a me, di perdere un fratello e di dover sfidare la rete di omertà e i muri di gomma degli apparati di sicurezza». Adesso i parenti in cerca di giustizia si conoscono e si sostengono a vicenda. Molti casi giudiziari vengono seguiti dall’avvocato Fabio Anselmo, che confessa che la missione di Bruxelles è al tempo stesso «un atto di fiducia e anche una mossa di disperazione». Anselmo ha sperimentato in questi anni l’importanza della comunicazione e del rapporto con l’opinione pubblica. Se n’è accorto quando prese in mano le carte del primo caso d’abuso.
Riccardo Rasman, trentaquattrenne con problemi psichici, venne ucciso a Trieste da tre poliziotti nell’ottobre del 2006. «Il caso stava per essere archiviato – rievoca Anselmo – Ma grazie ad un’interpellanza parlamentare finì sulle pagine dei giornali locali e il corso degli eventi mutò. Per la prima volta in vita mia assistetti alla revoca di un’archiviazione e poi alla condanna, seppure lieve, degli agenti coinvolti». A distanza di dieci anni, con in mezzo le tante facce della Spoon River carceraria e repressiva, ecco l’ultima storia di violenza in divisa seguita da Anselmo. La vittima si chiama Rachid Assarag. È un detenuto che ha denunciato pestaggi nelle carceri di Parma, Prato e Firenze. Per di più, Assarag è riuscito a registrare le voci di agenti, medici, operatori e psicologi all’interno del carcere: gli dicono che è inutile denunciare e in qualche caso lo minacciano spiegandogli che in carcere non valgono le garanzie minime.
Proprio venerdì, il tribunale di Parma ha riconosciuto come rilevanti le registrazioni avventurosamente raccolte dall’uomo, disponendo una perizia che cerchi di associare a quelle parole inquietanti dei volti e delle responsabilità. Assarag si è presentato dal giudice in sedia a rotelle, coi segni di un nuovo, ennesimo pestaggio compiuto alla vigilia dell’apparizione in tribunale. Del suo caso e di tanti, troppi altri, si parlerà la settimana prossima a Bruxelles.
Fonte: il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.