di Marta Fana
Aumentano gli occupati nel 2015, lo confermano le ultime stime dell’indagine sulla forza lavoro dell’Istat relative al quarto trimestre dell’anno appena trascorso. La crescita degli occupati a tempo indeterminato sembra farla da padrone: +207 mila secondo i dati non destagionalizzati. Il numero di occupati a tempo determinato si ferma a un incremento di 91 mila unità, mentre diminuiscono inesorabilmente gli occupati indipendenti.
È una ripresa occupazionale effimera quella che ci consegna in dote l’anno «degli incentivi e del Jobs Act» in termini sia quantitativi sia qualitativi. Nessuno dei problemi strutturali del mercato del lavoro italiano- il divario Nord Sud, la dualità di genere e anagrafica- è stato aggredito. Inoltre, che il rapporto tra imprese e lavoratori, tra domanda e offerta, sia sempre meno strutturato, è confermato dal notevole aumento della domanda di lavoro in somministrazione (+12,9%) in un anno, mentre i posti vacanti delle imprese rimangono fermi ai livelli di un anno fa.
Intanto, il lavoro che avanza è sempre più part-time, in aumento sia per il lavoro «permanente» sia per quello a termine, con tassi di crescita annuali rispettivamente del 2,8 e 5,4 per cento, a fronte di una crescita ben più contenuta del lavoro a tempo pieno per entrambe le tipologie contrattuali. Nessuna reale inversione nella dualità del mercato del lavoro. Ad esempio, le donne rappresentano solo il 4% dei nuovi occupati e in nessun caso fanno parte dei nuovi occupati con contratti «stabilmente precari», quelli a tempo indeterminato. Le donne tornano a rifugiarsi nell’inattività, determinando l’aumento annuale del numero di inattivi. Dal punto di vista anagrafico, si conferma la tendenza di un aumento dell’occupazione over 50, con un aumento annuale 238 mila lavoratori, a fronte di una riduzione degli occupati tra i 35 e i 49 anni (-84 mila). Infine, emerge un aumento piuttosto limitato degli occupati tra i 15 e i 34 anni pari a 29 mila unità.
La ripartizione dell’occupazione tra settori produttivi chiarisce la debolezza della ripresa in atto. Nel settore manifatturiero, sono andati distrutti 40 mila posti di lavoro dipendente e 6 mila indipendente, mentre aumentano i lavoratori dipendenti nei servizi (+268 mila). Evidenza coerente con l’andamento complessivo dell’economia italiana, che dopo uno spiraglio di ripresa nel primo semestre, si è nuovamente appiattito su pochi decimali di crescita. Ancora più coerente se si considera l’arretramento pluridecennale della capacità produttiva italiana, non accompagnato né sostituto da uno sviluppo del settore dei servizi ad alto contenuto tecnologico. Non a caso, il tasso di occupazione cresce in un anno soprattutto per i lavoratori con basso titolo di studio, cioè la licenza media, dello 0.6% contro lo 0.3% dei laureati.
Questo accade mentre le retribuzioni di fatto (salari, stipendi e competenze accessorie in denaro, al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali) diminuiscono, soprattutto nei settori delle professioni tecniche e scientifiche, così come nel commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli, nelle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione e infine, nei servizi di informazione e comunicazione. Questi sono i settori in cui a parte i servizi di informazione e comunicazione si concentrano le assunzioni a tempo indeterminato del 2015.
L’ovvio che si palesa: la deflazione salariale è una politica implicita nelle riforme di flessibilizzazione del mercato del lavoro. Le attività dei servizi di informazione e comunicazione, in cui prevale il lavoro indipendente, soffrono di un calo delle retribuzioni. L’occupazione indipendente continua a diminuire e dai dati a disposizione non emerge se questi lavori sono oggi contrattualizzati attraverso il nuovo contratto a tempo indeterminato oppure se, come sospettato, molti lavori vengono retribuiti attraverso i voucher. Un dubbio che vale anche per gli altri settori menzionati. Se ciò fosse vero, si avrebbe la prima conferma che il livello minimo salariale in Italia sta inesorabilmente crollando e con esso le tutele. Il mercato del lavoro soffre delle stesse malattie di sempre, ma è molto meno immune al peggioramento.
Fonte: il manifesto
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