di Roberto Ciccarelli
Stanche, ma combattive. Le maestre precarie dei nidi e delle scuole dell’infanzia hanno passato due notti sulle impalcature in piazza Madonna di Loreto, vicino al Campidoglio. Sotto la pioggia battente, in equilibrio tra ombrelli e impermeabili, l’umido nelle ossa, la voce rotta da un’improvvisa raucedine, due insegnanti sono state costrette a scendere. La febbre era alta, forti i dolori alla schiena. Altre due hanno deciso di resistere. Solidarietà alle maestre è arrivata dai lavoratori delle impalcature sulle quali si erano arrampicate. Una delegazione dell’Unione sindacale di base, che da tempo sostiene questa lotta, è stata ricevuta dal vice capo di Gabinetto del ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia e ha ottenuto un incontro con il ministro previsto per giovedì.
Condizioni estreme per denunciare, ancora una volta, una realtà difficile da immaginare, ma vera: oggi a Roma i servizi pubblici per l’infanzia e per l’educazione si reggono in piedi grazie a 5 mila maestre precarie. Ogni anno sono licenziate a giugno e sono riassunte a settembre. Ogni anno corrono il rischio di perdere il lavoro. Passato il periodo di prova annuale, questo rischio tornerà anche nel 2016. «Abbiamo vinto una piccola battaglia a settembre scorso quando i precari erano stato messi alla porta da due bandi che sancivano il divieto di reiterare i contratti oltre i 36 mesi – ha detto Daniela Pitti (Usb Roma) a Radio Onda d’Urto – Non c’è ancora certezza sulla possibilità di lavorare ancora a settembre». Sono a rischio anche persone in graduatoria dal 2009 che corrono il rischio di non essere assunte fino all’assunzione. «Basterebbe solo la volontà di risolvere questa situazione, l’amministrazione capitolina potrebbe reiterare i contratti. La situazione resta sospesa.
La protesta delle maestre ha acquisito un riconoscimento più ampio dopo la presentazione del Documento unico di programmazione 2016-2018 (Dup) da parte di Tronca. Nel testo si allude a politiche di cessione dei nidi ai privati e delle scuole dell’infanzia allo Stato. Una decisione che risulterebbe fatale per un intero sistema per il quale si è progetto anche un modello organizzativo basato sull’aumento dei carichi di lavoro e della flessibilità orari, al fine di limitare il ricorso ai supplenti. E’ il combinato disposto dell’austerità che soffoca gli enti locali: da un lato si riducono e privatizzano i servizi, dall’altro lato si aumentano le tasse e si certifica la carenza di personale, mentre il blocco del turn-over impedisce le assunzioni. Chi ha un posto lavora sempre peggio, è pagato meno.
La protesta per la stabilizzazione dei precari e contro la privatizzazione dei nidi si è saldata con quella – sostenuta dai centri sociali, i movimenti della casa e l’associazionismo diffuso nella Capitale – contro gli sfratti per morosità incolpevole, le minacce di sgomberi contro spazi sociali come Esc, La Torre, Auro & Marco, Corto Circuito o Casale Falchetti. Queste emergenze hanno determinato una convergenza che non si vedeva da tempo a Roma. A pochi mesi dalle elezioni, e in pieno commissariamento dopo la defenestrazione dell’ex sindaco Marino e della sua rovinosa esperienza politica, sabato 19 marzo si terrà una mobilitazione cittadina denominata «Roma non si vende». Preceduta da una serie di blitz, da affissioni e da un’originale campagna sui social, i movimenti hanno tenuto assemblee nei quartieri, mirate alla scrittura di una carta dei diritti. Su questa base sarà chiesto un confronto con i candidati al Campidoglio.
Fonte: il manifesto
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