di Serena Chiodo
Sono iniziate mercoledì mattina le operazioni di sgombero del campo di Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia. Un luogo simbolo della situazione in cui versano le persone che, prevalentemente da Siria, Iraq, Afghanistan e Pakistan, provano a raggiungere il territorio europeo, restando bloccate nelle zone di frontiera a causa delle politiche di chiusura dell’Unione e dei paesi membri. Le circa 8400 persone presenti nel campo sono attualmente “invitate” dai funzionari del governo greco a salire sui numerosi autobus predisposti per i trasferimenti in altre aree del territorio ellenico. Le virgolette sono d’obbligo: le operazioni si stanno svolgendo alla presenza di circa 700 poliziotti in assetto antisommossa, mentre un elicottero sorvola la zona. Il governo greco ha sottolineato che la massiccia presenza di agenti è stata predisposta solo come “misura precauzionale contro l’eventualità che alcune persone rifiutino di abbandonare l’area”.
Stando alle testimonianze dei numerosi volontari e giornalisti accorsi sul posto, solo la polizia è ammessa nel campo, insieme ai membri di alcune ong già presenti a Idomeni. Giornalisti e attivisti non possono entrare, tenuti a distanza di diversi chilometri: sono loro che da mesi testimoniano le condizioni di vita, decisamente precarie, in cui versano le persone bloccate a Idomeni, e che in modo autonomo hanno organizzato attività di supporto e assistenza per i profughi, come un servizio Skype per restare in contatto con i familiari e attività didattiche per i molti bambini presenti nel campo. “Sono tutte persone che non saranno ammesse nei campi in cui il governo greco vuole spostare i profughi”, sottolinea Adelaide Massimi, che a inizio maggio ha visitato il campo di Idomeni, ma anche quello di Nea Kavala, Giannitsa e Cherso, nel nord della Grecia. “Campi istituzionali – ci racconta – dove le condizioni non sono affatto migliori di quelle presenti a Idomeni”. Stando a quanto ha potuto vedere, Adelaide testimonia di campi costituiti da tendoni e inondati dal fango, esattamente come a Idomeni. “E’ molto meglio qui che negli altri campi: questo è quello che ci dicono le persone che ci sono state”, ha affermato un 38enne siriano presente a Idomeni, intervistato lunedì, ieri, da Associated Press. “L’accesso è consentito solo con autorizzazione dell’esercito e del dipartimento per l’immigrazione del ministero dell’interno – prosegue Adelaide – Nel campo di Giannitsa ci sono anche strutture in muratura, negli altri due campi solo tende. L’assistenza medica è molto ridotta, mentre non viene fornito alcun sostegno legale. Anche l’accesso all’acqua è decisamente precario”. Nel campo di Giannitsa ai profughi “da diverse settimane si prometteva l’arrivo di funzionari del governo, che avrebbero dovuto avviare le procedure per le richieste di asilo direttamente all’interno del campo. Ad oggi, però, ancora non è stata avviata alcuna procedura” (qui è possibile approfondire la situazione dei campi istituzionali greci).
Ma l’aspetto più preoccupante è forse un altro: “Tante persone presenti a Idomeni non vogliono spostarsi per paura che il mondo si dimentichi di loro. I campi istituzionali in cui il governo greco vuole trasferirli sono lontani da tutto e tutti, in luoghi molti isolati. E al loro interno non sono ammessi volontari, ma solo membri di alcune organizzazioni. Le stesse presenti a Idomeni, e sul cui operato sarebbe opportuno fare chiarezza”. Secondo la testimonianza di Adelaide, l’assistenza fornita non sarebbe infatti sufficiente: “l’Unhcr non garantisce alcun sostegno informativo, che di fatto a Idomeni veniva portato avanti in misura massiccia dai volontari”, spiega. Non solo: “La Praxis, associazione presente a Idomeni, che ogni giorno fornisce circa 9000 pasti, dal momento dell’ufficializzazione dello sgombero del campo non consegna più cibo. Sembra quasi che vogliano affamare le persone per farle allontanare”. Parole forti, che fanno il paio con le affermazioni di alcuni testimoni dello sgombero, riportate da GlobalPoject.info: “Sono moltissime le persone che scelgono di salire sui pullman autonomamente, non è possibile fare diversamente. La scelta è obbligata”. Una scelta vincolata anche al fatto che il governo greco ha specificato che solo accettando lo spostamento i rifugiati potranno ottenere una proroga del permesso di soggiorno di un mese, ottenuto entrando in Grecia.
In ogni caso, il trasferimento delle persone sembrerebbe l’ennesima sbarra di una gabbia che chiude i profughi in Grecia, mantenendoli lontani dagli altri paesi europei, dove invece vorrebbero andare proseguendo il proprio viaggio. “Anche laddove alle persone trasferite sarà concesso di avanzare richiesta di asilo, si dovranno aspettare tempi molto lunghi – spiega Adelaide – ad oggi, la Commissione di Salonicco lavora circa 50 richieste di asilo al giorno. Sono molte, ma sono molti di più i richiedenti. A questi ritmi i profughi rischiano di stare nei campi anche più di un anno. Nelle condizioni che ormai conosciamo”.
Stando a quanto dichiarato dal governo greco, le operazioni di sgombero dovrebbero durare circa dieci giorni. Al momento, sarebbero tredici i bus che hanno trasferito già 609 persone da Idomeni ai campi aperti nel nord della Grecia.
Fonte: Cronache di ordinario razzismo
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