di Niccolò Zancan
A terra sono rimasti pneumatici bruciati e sassi. Venti agenti della gendarmerie presidiano la rotonda per impedire altri blocchi. Il sole incomincia a tramontare sul mare, sulle raffinerie e su questo pezzo di Francia che lotta e non vuole cambiare. «Non credete a questa menzogna del progresso! Vi siete fatti fregare, voi italiani. Non faremo lo stesso. Questo legge sulla flessibilità del lavoro è un ritorno al passato, vogliono togliere di mezzo il sindacato e disporre dei lavoratori a piacimento. Lo chiamano futuro, ma è una nuova forma di schiavitù». Roger Lamur racconta la giornata che ha paralizzato la Francia dalla sua sedia di segretario generale della Cgt per il distretto di Bouches du Rhône. Marsiglia è a quaranta chilometri, la Camargue vicinissima. La televisione trasmette in continuazione la mappa dei benzinai rimasti a secco.
Le code di automobilisti. E dalle finestre dell’ufficio di Lamur si possono vedere quasi in faccia i poliziotti chiamati a presidiare la zona. La rotonda divide il deposito della Total e la sede del sindacato più arrabbiato di Francia. «Erano le quattro e mezza del mattino quando sono arrivati – racconta Lamur – elicotteri, droni, cannoni ad acqua. Era ancora buio. Non hanno detto nulla e hanno iniziato a sparare. Sembrava la guerra».
Le code di automobilisti. E dalle finestre dell’ufficio di Lamur si possono vedere quasi in faccia i poliziotti chiamati a presidiare la zona. La rotonda divide il deposito della Total e la sede del sindacato più arrabbiato di Francia. «Erano le quattro e mezza del mattino quando sono arrivati – racconta Lamur – elicotteri, droni, cannoni ad acqua. Era ancora buio. Non hanno detto nulla e hanno iniziato a sparare. Sembrava la guerra».
Da ventiquattro ore, cinquecento lavoratori di Fos-sur-Mer, metalmeccanici, chimici e portuali, impedivano ai camion di uscire dal deposito per andare a distribuire il carburante. Il governo ha deciso di intervenire. «È questa la chiamano democrazia!», tuona Lamur sotto un paio di baffi grigi Anni Settanta. «Ci hanno costretti a rifugiarci nella sede del sindacato. Sembrava un assedio. Hanno bloccato tutte le uscite. Ci hanno tenuti prigionieri per due ore».
Non può essere un caso che sia successo proprio qui. Molti ricordano ancora il blocco delle raffinerie Toy-Riont del 1968, quando 15 operai su 300 riuscirono ad occupare e bloccare l’impianto per una settimana intera. Erano giorni di camminate e biciclette, quasi tutte le auto ferme sotto casa. Allora Fos-sur-Mer era ancora chiamata «la California della Provenza», ma stava per diventare uno dei più importati poli siderurgici d’Europa. Veniva qui un giovane Jean-Cluade Izzo, redattore per La Marseillaise e non ancora romanziere di successo, a raccontare la trasformazione. «I circa 25 mila operai che lavoravano nei cantieri venivano dalla Turchia, dalla Jugoslavia, dal Maghreb. Il lavoro era a ciclo continuo, non si doveva fermare mai. E si stava consumando una terribile strage occulta. Ogni tanto qualche operaio spariva. Poi il corpo veniva ritrovato in una betoniera». Questo si può leggere nella biografia di Izzo firmata da Stefania Nardini. È una storia che ancora senti raccontare nei bar. «Siamo una città che ha pagato sulla sua pelle ogni singola conquista sindacale» dice Roger Lamur. «Non torneremo indietro».
Le barricate sulla rotonda hanno fatto quattro feriti e sei arresti. In mezzo alla bolgia, ancora prima che spuntasse l’alba, c’era anche Jean-Philippe Murru, nonni sardi, figli francesi, operaio dell’azienda chimica Kemone, insieme ad altri cinquecento. «Volevano chiudere la fabbrica. Stavano per mandare a casa noi e quelli della Assometal. Ma lottando, tutti insieme, siamo riusciti a scongiurare il pericolo. Avete capito? La precarietà serve a renderci tutti soli». Cosa non va in questa nuova legge sul mercato del lavoro? «Tutto non va» dice l’operaio Murru. «Ci possono licenziare a piacimento. Possono obbligarci a fare quanti straordinari vogliono, pagandoli di meno. Non garantiscono più la stessa assistenza sanitaria ai lavoratori. Ma la cosa più grave è che hanno imposto questa legge in totale disprezzo della democrazia, tagliando fuori il Parlamento».
Alle nove di sera, sul tavolo della sala riunioni ci sono vino e patatine. Cosa farete? «Adesso abbiamo bisogno di qualche giorno per raccogliere le idee. Siamo provati dagli scontri. Prima di bloccare il deposito, avevamo fatto sei manifestazioni inutili. Ma torneremo in strada. Torneremo a far sentire la nostra voce». Avete bloccato la Francia, dicono i telegiornali. «Non è vero. Il governo ha riserve di carburante per due mesi, ma ha preferito lasciare questo caos in modo da mettere la gente contro il nostro sindacato. Prima il caos, poi la guerra. Ecco la loro strategia».
Cala una notte rosa e quasi africana sulla rotonda di Fos-de-Mer. Le ciminiere delle raffinerie sputano lame di fuoco alte nel cielo. I poliziotti restano immobili nel buio a separare fisicamente il passato e il futuro della Francia.
Articolo pubblicato su La Stampa
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