di Marcello Vigli
2 giugno 2016: la Repubblica italiana ha 70 anni, e forse li dimostra. Non mancano infatti le rughe, ma derivano dalla sistematica abitudine di una parte dei suoi politici a derogare dalle norme della Costituzione che la regge. Negli ultimi anni la turbolenza istituzionale si è aggravata per la discutibile legittimità di un governo fondato sulla fiducia di un Parlamento eletto con una legge elettorale che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale, abrogandone alcune parti e dichiarando che non rientra tra i compiti di questa Corte valutare l’opportunità e/o l’efficacia del sistema proporzionale puro che sarebbe restato in vigore. In questo contesto ...di sostanziale “disordine” istituzionale Renzi e Berlusconi si sono accordati per avviare un processo di revisione della Costituzione, con l’intento di stravolgere il modello istituzionale in essa contenuto.
L’accordo è venuto meno, ma il progetto ha preso forma in un testo, approvato dopo varie vicissitudini da una ridotta maggioranza parlamentare, che altera l’equilibrio fra le tre istituzioni della Repubblica – Parlamento, governo, Magistratura – garantito dalle funzioni di controllo attribuite al Presidente della Repubblica e alla Corte Costituzionale.
L’accordo è venuto meno, ma il progetto ha preso forma in un testo, approvato dopo varie vicissitudini da una ridotta maggioranza parlamentare, che altera l’equilibrio fra le tre istituzioni della Repubblica – Parlamento, governo, Magistratura – garantito dalle funzioni di controllo attribuite al Presidente della Repubblica e alla Corte Costituzionale.
In particolare, non si abolisce ma si deforma il Senato. Ridotto nel numero e trasformato in Assemblea espressa dai Consigli regionali, partecipa solo in parte e con diverse modalità di intervento alla funzione legislativa attribuita alla sola Camera dei Deputati. Sono previste poche leggi (bicamerali), in cui il suo voto è determinante, mentre sulle altre (monocamerali) esso può chiedere d’intervenire, proponendo emendamenti che la Camera può, però, respingere a maggioranza.
Si corre il rischio che in molti procedimenti legislativi sorgano incertezze e conflitti!
In presenza di queste possibili complicazioni si rafforza il potere del governo che, nel nuovo testo, può pretendere dalla Camera dei deputati la precedenza nell’esame delle sue proposte e un termine determinato per l’espressione del voto, decorso il quale tutti gli emendamenti decadono e si passa, dopo il voto sui singoli articoli, alla votazione finale. Aumenta, in tal modo, la cosiddetta governabilità, affidata però ad un governo in grado di prevaricare il Parlamento attraverso una anomala maggioranza. L’Italicum, la legge elettorale da poco approvata e destinata ad entrare in vigore a decorrere dal 1º luglio 2016, prevede, infatti, che sia attribuita la maggioranza del 54% dei seggi (340 su 630) o al partito che al primo turno ottiene il 40% dei voti, o a quello che, al secondo turno, è scelto dal maggior numero di votanti, qualunque esso sia.
È innegabile che ne risulta stravolto, non solo corretto, il sistema di rappresentanza proporzionale fulcro del sistema politico italiano disegnato nella Costituzione: in ognuno dei previsti 100 seggi elettorali, ai capilista, designati dai partiti, saranno assegnati, come preferenze, tutti i voti ottenuti dalle liste, per garantirne l’elezione sicura.
Queste discutibili regole nella designazione e nel funzionamento della rappresentanza sono da molti considerate un giusto prezzo da pagare per costruire una Repubblica “nuova”, adeguata ai tempi che stiamo vivendo. In verità si può considerare in linea con le istanze di chi non riconosce il principio dell’uguaglianza di tutti i/le cittadini/e nell’esercizio della sovranità popolare e auspica per la Repubblica un regime autoritario.
Anche l’uguaglianza è considerata parte di quel “vecchio” da rottamare all’insegna del “nuovismo”, per il quale non ci si chiede se il “nuovo” è anche buono, utile, democratico è ... un “valore assoluto”, l’unico sopravvissuto alla fine degli altri e delle ideologie che li promuovevano.
Celebrare il 2 giugno offre l’occasione per denunciare l’infondatezza di questa “narrazione”, nata col craxismo, confermata nella versione berlusconiana, aggiornata in quella renziana, e per rilanciare l’impegno a sconfessarla, votando NO al prossimo referendum istituzionale...
Fonte: Adista News
Originale: http://www.adista.it/articolo/56327
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