di Andrea Colombo
Chissà se Renzi crede nei presagi e teme i segnali celesti oppure se, convinto che i rituali con cui gli Achei chiedevano lumi siano solo un espediente per passare di livello nell’Iliade versione play station, si fida solo degli aridi dati. In entrambi i casi, ieri non deve aver passato una tranquilla nottata. La voragine che ha ingoiato una ventina d’auto, 5 miliardi e la residua immagine del Paese agli occhi di mezzo mondo, non può certo essere addebitata all’ex primo cittadino della città di Dante, che già da anni si occupa d’altro. Ma un crollo rovinoso proprio nel cuore della sua Firenze avrebbe insospettito Ulisse e consigliato prudenza ad Agamennone, senza neppure bisogno di consultare l’oracolo. Certi segnali si spiegano da soli. È improbabile che il ragazzo di Rignano permetta alla magia di inquietarlo più che tanto. Ma non è che sul fronte della razionalità le cose ieri fossero messe molto meglio.
Nei titoli la medesima parola, «crollo», era adoperata per indicare la frana fiorentina e quella della produzione nazionale. Il 3,6% in meno rispetto all’anno scorso non è poco ma il dato disaggregato, secondo cui a trascinare verso il basso è il settore principe dell’auto, che flette addirittura del 6,5%, è peggio.
Non succedeva dal dicembre 2013 e un indovino potrebbe leggere anche in questo un segnale poco roseo: proprio dopo quel dicembre iniziò infatti, tra annunci trionfali e promesse folgoranti, l’era Renzi e con essa una lentissima ma indiscutibile ripresa.
Craxi chiamava questo tipo di successo «onda lunga». Quando, nel 1992, rifluì per la prima volta la prese malissimo. Sei mesi dopo era un ex leader.
L’intera truppa renziana ha fatto muro, ieri, contro chiunque intravedesse nel crollo, quello dell’industria, non quello del lungarno, un fallimento del «magnifico»: una rondine non fa primavera e un corvaccio non fa inverno.
Però qui i corvi sono almeno due: sono passati pochi giorni da quando la parola maledetta campeggiava a proposito della picchiata delle assunzioni, inabissatesi con gli incentivi. Non occorrono gli aruspici per stabilire che la somma tra il crollo della produzione e quello delle assunzioni difficilmente la si può contrabbandare per risultato confortante sull’unico fronte che agli italiani davvero preme.
A guardare bene, qualche altro crollo che dovrebbe preoccupare l’inquilino di palazzo Chigi si è già dato.
La sua ministra preferita è stata per mesi l’unica, nel pattuglione femminile messo in campo dal gran capo, a poter vantare qualcosa in più di una cieca fedeltà e della capacità di assaporare con gusto degno dei trionfi berlusconiani la formuletta «il presidente Renzi». Se non proprio simpatica, dote che nell’entourage del rottamatore è più rara del platino, Maria Elena Boschi era la sola ad apparire fredda, lucida e persino preparata. Sarà per la pressione di chi vede gli esami avvicinarsi, sarà perché in famiglia qualche guaio serio forse c’è, ma nelle ultime settimane, tra una topica e l’altra, tra CasaPound e i partigiani arruolati a forza, anche quell’immagine è precipitata.
Al momento Renzi può vantare a buon diritto un solo indiscutibile successo: la benevolenza di Angela Merkel, che ne ha fatto il favorito di corte e ha pertanto rovesciato come un guanto la disposizione tedesca nei confronti dell’Italia, dall’arcigna ostilità con cui trattava Berlusconi al sorriso condiscendente con cui ora permette all’Europa di aprire i cordoni della borsa a nostro vantaggio come mai in precedenza.
È un risultato importante, anche prezioso, dovuto in parte al fatto che i tedeschi sono rigidi ma non stupidi, e quando la casa è in fiamme sono in grado pure loro di avvertire il puzzo di bruciato, ma in parte anche alla sapiente alternanza di grinta e disponibilità con la quale il fiorentino ha saputo sedurli. Neppure i favori dell’imperatrice però sono una cambiale in bianco: dipenderanno da se i dati di ieri verranno smentiti o confermati nei prossimi mesi.
C’è però un possibile dissesto che Renzi teme molto più di quelli su elencati. Se dopo le comunali i giornali dovessero titolare «Crollo del Pd», nemmeno la sua proverbiale faccia tosta basterebbe a far credere che il fattaccio non riguarda il governo.
Fonte: il manifesto
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