di Luigi Pandolfi
A dispetto delle fanfare governative, l'economia italiana continua a far registrare arretramenti e acciacchi. L'ultima nota dolente è la rilevazione dell'Istat sul fatturato e gli ordinativi dell'industria. A marzo 2016, rispetto al mese precedente, si è registrata infatti una diminuzione sia per il primo (-1,6%) che per i secondi (-3,3%). Sul dato complessivo pesano sia la flessione del fatturato sul mercato nazionale (- 2,6%), sia il calo degli ordinativi sul mercato estero (-5,8%). Due dati che, rispettivamente, confermano il perdurare di una crisi di domanda sul piano interno e un problema di competitività delle nostre imprese sul piano esterno. La prima, in particolare, è segnalata anche da altri indicatori, a cominciare da quello relativo ai prezzi. Ad aprile, infatti, l'indice nazionale dei prezzi al consumo è sceso dello 0,1% su base mensile (-0,5% su base annua), confermando come la tendenza deflattiva sia ben lungi dall'arrestarsi, nonostante la politica monetaria espansiva della Bce.
D'altronde, non è un caso che, insieme alle attività estrattive ed ai prodotti petroliferi raffinati, a tirare giù il fatturato delle industria siano stati proprio i beni strumentali, quelli intermedi e di consumo.
D'altronde, non è un caso che, insieme alle attività estrattive ed ai prodotti petroliferi raffinati, a tirare giù il fatturato delle industria siano stati proprio i beni strumentali, quelli intermedi e di consumo.
Su tutti, ovviamente, il dato relativo all'andamento della ricchezza nazionale. A marzo, il Prodotto interno lordo ha fatto registrare un magro +0,3% rispetto al trimestre precedente, contro un +0,5% della zona euro. Il governo, nel Documento di economia e finanza (Def), ha previsto una crescita dell'1,2% per l'anno in corso. Stima plausibile? Bè, stando ai numeri che circolano sull'andamento dell'economia, qualche dubbio, a questo punto, è più che legittimo.
E l'occupazione? Nell'Europa a 28, solo la Croazia e la Grecia stanno peggio di noi. Con un tasso di occupazione pari al 56,3% (rapporto tra il numero di persone occupate e la popolazione), scontiamo un differenziale di 17,7 punti percentuali con la Germania, di 16,4 punti con il Regno Unito e di 7,9 punti con la Francia. Non vanno meglio le cose sul versante della qualità dei contratti di lavoro. Dopo il boom di nuovi contratti a tempo indeterminato registratosi nel 2015, l'INPS ha reso noto che nel corso del primo trimestre gli stessi sono scesi di 162.000 unità, un crollo del 33,4% su base annua. Cos'è successo? Semplice: col nuovo anno sono diminuiti drasticamente gli sgravi fiscali e le imprese hanno smesso di assumere. Lo dimostrano, nello stesso periodo, anche le cifre relative alla trasformazione di contratti precari in contratti a tempo indeterminato: -31,4%.
Questo il quadro. Nel frattempo, abbiamo festeggiato la promozione delle nostre "riforme" da parte di Bruxelles, anche perché accompagnata dalla concessione di nuovi margini di flessibilità sui conti pubblici per l'anno in corso. Evviva! Ma anche no, perché l'anno prossimo i compiti a casa comprenderanno anche quelli che non faremo quest'anno. C'entra qualcosa questo con la situazione che abbiamo descritto più indietro? Sì, come c'entrano gli sgravi fiscali per le imprese e tutte le misure dal lato dell'offerta.
La crisi è innanzitutto una crisi di domanda, che potrà essere aggredita soltanto con un rilancio degli investimenti pubblici e privati. E laddove questi secondi sono deboli, ritardano, è lo Stato che deve fare la sua parte, come la storia insegna. Finiranno per capirlo a Bruxelles? Per adesso sembra proprio di no. Ne è prova l'ultimo accordo in seno all'Eurogruppo per la Grecia: per un'economia crollata del 25% in sei anni, si chiedono surplus di bilancio (differenza fra la spesa pubblica e le entrate tributarie e extra-tributarie esclusi gli interessi sul debito) pari al 3,5% del Pil. Una follia. O un modo per conseguire obiettivi diversi da quelli dichiarati. Follia e cinismo.
Renzi, dal suo canto, sembra poco preoccupato di questa situazione. In cima ai suoi pensieri oggi c'è il referendum di ottobre sulla riforma costituzionale, vissuto come un plebiscito su se stesso. Ma si sa, c'è il paese reale e quello raccontato. Nel secondo, a esempio, una riforma pasticciata (e pericolosa), come quella della Costituzione, può essere presentata anche come un'occasione per migliorare le condizione materiali di vita dei cittadini (il paese reale).
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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