di Marco Santopadre
La Cup si è stancata di aspettare. Quelli appena trascorsi sono stati mesi travagliati per la sinistra indipendentista catalana, al cui interno si sono profilate ormai due anime dalle sensibilità diverse: una che considera prioritario il “fronte nazionale” con le altre forze regionaliste e indipendentiste, nonostante le forti differenze dal punto di vista politico-ideologico, e un’altra che invece considera fondamentale legare la battaglia per l’indipendenza a una rottura di tipo socio-politico non solo con Madrid ma anche con le classi dirigenti catalane che finora non hanno fatto altro che riprodurre, su scala locale, le direttive dell’Unione Europea: autoritarismo, tagli, privatizzazioni… La federazione di gruppi e partiti, dopo la forte avanzata elettorale delle scorse elezioni regionali, ha subito vari scossoni e sollecitazioni, quando si profilava l’opportunità di sostenere un governo almeno teoricamente composto da forze favorevoli all’indipendenza.
La Cup mise il veto su Artur Mas, leader del centrodestra catalanista (Convergenza Democratica) e padre padrone della scena politica locale, mandando in fibrillazione molti di coloro che avevano votato per una formazione che pure aveva sempre dichiarato di considerare il processo indipendentista uno strumento di rottura e cambiamento e non un feticcio fine a sé stesso. Alla fine, dopo assemblee infuocate e qualche abbandono, la formazione ottenne all’ultimo minuto una controproposta da parte del partito egemone della borghesia catalana che non poté rifiutare, e a capo della Generalitat venne eletto un altro esponente di punta di Cdc, Carles Puigdemont.
Da allora sembrano passati anni – in realtà si tratta di pochi mesi – ma le promesse di rottura da parte della borghesia catalana e dei partiti indipendentisti moderati sono state in gran parte disattese, e anche nella gestione della cosa pubblica prevale un continuismo abbastanza evidente rispetto alla gestione precedente.
E così dentro la Cup, di fronte all’impasse, si è riaperto il dibattito, e le aree più radicali – sul fronte indipendentista così come su quello politico-sociale – sono tornate alla carica, ottenendo dalla coalizione una parziale rettifica rispetto alle decisioni assunte qualche tempo fa e il rilancio di un’agenda indipendente rispetto a quella dell’articolato e contraddittorio fronte nazionale.
L’occasione per il parziale cambio di rotta l’ha fornita l’assemblea nazionale della Cup riunitasi domenica scorsa in quel di Esparreguera (Barcellona), al termine della quale gli 800 delegati presenti hanno approvato due importanti emendamenti al documento politico strategico dell’organizzazione che di fatto consentono alla coalizione della sinistra indipendentista e anticapitalista di svincolarsi dal patto di governabilità raggiunto con Junts pel Si, la lista formata da Convergenza Democratica e da Esquerra Republicana.
Secondo la Cup quell’accordo – oltretutto non rispettato dalla coalizione di governo della Comunità Autonoma Catalana – rappresenta un ostacolo oggettivo all’ampliamento della base indipendentista e di sinistra della formazione e del processo indipendentista, e anche un elemento di freno rispetto alla promessa rottura con lo stato. L’assemblea nazionale della Cup ha per questo votato per rompere con ogni politica di austerità, i tagli e le privatizzazioni, e per combattere apertamente i limiti imposti dall’attuale statuto di autonomia.
La decisione è arrivata a pochi giorni dalla presentazione, da parte del governo Puigdemont, della bozza di Bilancio della Generalitat, che ora deve essere negoziato con la Cup in virtù proprio del patto di governabilità siglato al momento della formazione dell’esecutivo.
Il documento approvato a maggioranza domenica prevede una politica delle ‘mani libere’ che consenta ai dieci rappresentanti della formazione nel Parlament di opporsi al governo catalano nel caso in cui non si riesca a trovare una mediazione sugli aspetti più controversi e prioritari. Non quindi una rottura scontata del patto con Junts pel Si ma un aumento della conflittualità con lo schieramento indipendentista moderato e conservatore.
La Cup ha chiarito, dopo l’assemblea, che appoggerà la legge di Bilancio di Puigdemont solo se essa prevede “una disobbedienza netta e frontale nei confronti dello Stato” e delle sue imposizioni, soprattutto per quanto riguarda il tetto al deficit imposto da Madrid (il limite massimo è dello 0.7% del Pil) e la sospensione da parte del Tribunale Costituzione di leggi di natura sociale e democratica varate nei mesi scorsi dal Parlament. “Non voteremo alcun taglio e nessuna privatizzazione” ha chiarito il portavoce della formazione secondo il quale i primi mesi di vita del governo catalano hanno ingabbiato il progetto di rottura della Cup, socio “di un Govern che non trasforma in realtà i passaggi irreversibili verso la rottura e che porta avanti politiche proprie del progetto social-liberale di Junts pel Si”. Nel documento approvato si ribadisce che non è possibile alcun processo di indipendenza da Madrid che non rompa – a partire dalla disobbedienza e da una dichiarazione unilaterale di indipendenza – con il contesto istituzionale, giuridico ed economico dettato dallo Stato Spagnolo. A questo scopo la Cup indica la possibilità di accordarsi, su alcune questioni di natura sociale ed economica, con i partiti e le organizzazioni di sinistra non necessariamente indipendentiste come En Comù, Podem e altri.
Da parte sua Carles Puigdemont, che pure reclama l’indispensabile voto dei deputati della Cup per approvare il bilancio da lui presentato, ha affermato di respingere la disobbedienza chiesta dalla sinistra indipendentista – e prevista da una mozione parlamentare votata il 9 novembre scorso da tutti i deputati della maggioranza catalanista – e che anzi il suo principio ispiratore è il rispetto, l’obbedienza alla legge quale essa sia.
Intanto a Barcellona, nel quartiere ex popolare di Gracia ormai pesantemente gentrificato, da tre giorni e tre notti proseguono gli scontri tra i Mossos d’Esquadra – la polizia autonoma catalana – e alcune centinaia di attivisti che vogliono impedire lo sgombero del Banc Expropriat, un piccolo centro sociale occupato. Il conflitto ha rotto improvvisamente, ed in modo eclatante, la relativa pace sociale che aveva contraddistinto i primi mesi di governo della sindaca Ada Colau, esponente di una coalizione formata da Podem e dai partiti di sinistra e centrosinistra alla quale recentemente si sono aggiunti anche i socialisti. All’inizio l’ex esponente delle Pah – i comitati contro gli sfratti – ha appoggiato il comportamento violento delle forze dell’ordine, definendo gli occupanti una minoranza prepotente e sconsiderata, ma poi di fronte al montare della protesta in città – con la Cup che ha preso le difese del Banc Expropriat – ha dovuto fare una parziale marcia indietro, chiedendo ai Mossos di non eccedere e di comportarsi in maniera responsabile.
Fonte: Contropiano
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