di Anna Lombroso
Come tutti anche io attendo con ansia la pubblicazione delle nuove adesioni al SI. Dopo tante eccellenti riesumazioni, pare certa quella di Lenin (gli avevano domandato se voleva anche lui, come Renzi, il “superamento dello Stato”), è sicura quella di Cavour (al conte avevano chiesto: le piace la menta?), non ci sono dubbi sull’assenso di Enrico VIII (ai si reiterati era abituato), si attende la risposta positiva seppur sventurata della Monaca di Monza, per non parlare di Dante, testimonial per eccellenza del si che suona vittorioso nel bel paese.
Vicini al lancio di petizioni su Change, prossimi alla raccolta di firme porta a porta, a cominciare da quelle, le più istituzionali, di Vespa, determinati a allestire tavolini a tre gambe per guadagnarsi qualche consenso postumo, compreso il rinnegato Kautsky e magari Bordiga, escludendo Gramsci che proprio non risponde e fa l’indifferente dopo gli innumerevoli abusi commessi in suo nome, dirigenti del Pd e compagine di governo, Verdini in testa, sono a caccia di sottoscrittori che si aggiungano agli “accademici” – siamo sempre a 148 – sostenitori del manifesto della nuova razza padroncina, e che segnino l’inizio di una nuova fase, quella del riscatto culturale di una cerchia che si era finora contraddistinta per la derisione del sapere, per lo scherno della competenza, per la canzonatura dell’autorevolezza conquistata con studio e impegno professionale, per il sarcasmo nei confronti della saggezza, salvo quella presa in prestito per partecipare a commissioni, spending review e bicameraline sempre più a scartamento ridotto, per il ludibrio manifestato a piene mani per tutto quello che riguarda conoscenza, istruzione appresa o impartita.
Vicini al lancio di petizioni su Change, prossimi alla raccolta di firme porta a porta, a cominciare da quelle, le più istituzionali, di Vespa, determinati a allestire tavolini a tre gambe per guadagnarsi qualche consenso postumo, compreso il rinnegato Kautsky e magari Bordiga, escludendo Gramsci che proprio non risponde e fa l’indifferente dopo gli innumerevoli abusi commessi in suo nome, dirigenti del Pd e compagine di governo, Verdini in testa, sono a caccia di sottoscrittori che si aggiungano agli “accademici” – siamo sempre a 148 – sostenitori del manifesto della nuova razza padroncina, e che segnino l’inizio di una nuova fase, quella del riscatto culturale di una cerchia che si era finora contraddistinta per la derisione del sapere, per lo scherno della competenza, per la canzonatura dell’autorevolezza conquistata con studio e impegno professionale, per il sarcasmo nei confronti della saggezza, salvo quella presa in prestito per partecipare a commissioni, spending review e bicameraline sempre più a scartamento ridotto, per il ludibrio manifestato a piene mani per tutto quello che riguarda conoscenza, istruzione appresa o impartita.
Tanto che il disprezzo per quelli che un tempo erano considerati valori, era diventato sistema di governo, insieme a quello esercitato per il lavoro, giustamente retrocesso modernamente a innovativa mobilità, per la storia e la memoria, riposti insieme a inutili paccottiglie antiquate e poco redditizie, per l’onestà, orpello buono solo per la propaganda, per le leggi e la sorveglianza sulla loro applicazione, considerate molesti ostacoli all’esprimersi della libera iniziativa, per i beni comuni, infruttuosi e quindi da promuovere allo stato di merci e prodotti facilmente commerciabili e trasferibili.
Ma adesso no, anzi, si. Adesso di fronte a una inattesa e sorprendente mobilitazione spontanea di qualche testa che non si esime dal pensare, di qualche intelligenza che non si sente esonerata dal far luce, da qualche modesta ma irriducibile manifestazione di quella libertà di espressione cui sono soliti guardare col sospetto riservato a anarcoidi anticonformisti, insopportabili e perseguibili di repressione finché non si risolvono ad estinguersi per età o emarginazione, i mocciosi del nuovo bivacco di Palazzo Chigi si sarebbero convinti che i manipoli, cui era riservato l’incarico di svecchiare le aule sorde e grigie della democrazia con le loro controriforme, dovranno assumere parvenze più civili, meno spavaldamente illetterati, più consone a luoghi e linguaggi appropriati a quelle istituzioni che si ripromettono di impoverire in modo che possano essere acquisite da più efficienti soggetti imprenditoriali e privati.
Non so voi, ma io me li immagino salire in soffitta, tirar fuori vecchi sussidiari, spolverare i bignami di storia contemporanea, o meglio ancora attingere citazioni e aforismi da Wikiquote per affacciarsi ben preparati sullo scenario della nuova e dinamica ignoranza, quella dell’apprendimento e successiva esibizione dei risvolti di copertina, dei pamphlet degli svariati Moccia e Alberoni della filosofia, della produzione del Gotha della Leopolda, quella che non ritorna perché non se n’è mai andata, è solo peggiorato grazie ad anni di supremazia televisiva, di realtà parallele consumate in show che la simulano rendendo meno tragica l’attesa di un futuro e meno ridicola la percezione del presente.
Sono figli del nostro tempo e così anche loro fanno finta davanti alle telecamere e alla Camera, recitano lezioni imparate a memoria delle quali non capiscono il senso, ripetono frasi scelte ad effetto, citano e riportano, come pappagalli o scimmiette ammaestrati, parole e gesti di altri, aspettandosi gli applausi, il becchime o le noccioline, il premio per la prima fatica della loro vita fatta di ubbidienza ai padroni del grande circo. Allora facciamo finta anche noi di dirgli di si, per poi regalarci la sorpresa di un sonoro, potente, fragoroso NO.
Fonte: Il Simplicissimus
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