di Andrea Filippetti
In Francia sindacati e manifestanti stanno bloccando il paese per protestare contro la riforma del lavoro proposta dal governo socialista. Da più parti si levano critiche contro un blocco sociale ostile al cambiamento, che non vuole fare le riforme «necessarie», che si oppone al mondo che va in un’altra direzione. La direzione sarebbe quella in cui lo Stato si deve ritirare per far posto al mercato sempre più globalizzato ed interconnesso. E se invece avessero ragione? Non si intende qui entrare nel merito della riforma, ma sul significato più generale, ossia sulla «necessità» di una riforma del mercato del lavoro, ovviamente nella direzione di renderlo più flessibile, nell’attuale contesto storico.
Se riavvolgiamo il nastro della crisi, osserviamo che questa ha origine nel settore finanziario negli Stati Uniti, il paese che più di ogni altro ha eletto la flessibilità del mercato del lavoro e l’estensione del ruolo del mercato a guida ispiratrice dagli anni ’80 in poi, senza reali eccezioni. La crisi poi si propaga, a causa della interconnessione dei mercati finanziari e del sistema bancario, virtualmente a tutti i paesi economicamente più avanzati.
Accade poi che gli Stati sono costretti ad indebitarsi, con i soldi dei contribuenti, per salvare il settore bancario-finanziario, poiché, si dirà, troppo grande per fallire. Passano una manciata di anni, e il nuovo mantra, avanzato ad ogni livello – istituzioni internazionali, Commissione Europea, Banca Centrale Europea – è uno ed uno solo: per uscire dalla crisi occorre fare le riforme.
Quali? Ridurre il ruolo dello stato sociale e rendere il mercato del lavoro flessibile.
E cosa «ci azzecca» con le cause della crisi? Non è dato saperlo. Le cause della crisi non vanno forse ricercate laddove è originata, ad esempio nel settore della finanza? E perché occorre rendere i mercati del lavoro più flessibili se gli Stati Uniti erano nel 2008 il paese avanzato con il mercato del lavoro più flessibile tra i paesi avanzati?
Le proteste della Francia di oggi, al di là del merito specifico della riforma, vanno interpretate come il risultato di un malcontento, un’ingiustizia, una palese contraddizione, e una conseguente mancanza di comprensione e fiducia verso istituzioni che professano ricette economiche che poco o nulla hanno a che vedere con le cause della profonda crisi politico, economia ed istituzionale dell’Europa.
Fonte: il manifesto
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