di Nicola Marongiu e Maria Guidotti
Dalla pubblicazione delle sentenze del Consiglio di Stato, avvenuta lo scorso 3 febbraio, in materia di Isee con grande ritardo il governo individua una soluzione che non risponde al carattere di equità, anche interna, che deve poter mantenere tale strumento. Il contenuto delle sentenze accoglieva, prima al Tar e poi al Consiglio di Stato, i ricorsi presentati sulla questione di come considerare le indennità per le disabilità e le altre forme risarcitorie sancendo la non computabilità tra i redditi e indicando inoltre la esigenza di un intervento di coordinamento sulle altre parti della norma che intersecavano tale previsione. Il dispositivo della sentenza è chiaro, intervenendo sulla natura delle indennità e non certamente sulla efficacia dello strumento dell' Isee che come è noto dai dati del monitoraggio sul primo anno d'inserimento ha avuto un effetto di maggiore inclusione anche per le categorie direttamente interessate dalle sentenze.
Lo scorso 13 maggio il Governo, dopo un passaggio nel tavolo di monitoraggio dove erano state prospettate altre soluzioni, ha presentato un emendamento in sede di conversione del decreto legge sulla scuola approvato nella giornata di ieri. L'emendamento prevede il ritorno, solo per quanto riguarda il trattamento della disabilità, al vecchio Isee (2014) con il ripristino della maggiorazione della scala di equivalenza dello 0,50%, senza franchigie.
L'emendamento, seppure in via transitoria, ripristina un sistema che era stato modificato proprio per la sua incapacità effettiva di differenziare e fare equità sia di carattere reddituale che legate alla gravità della disabilità. Non si possono più dedurre le spese effettivamente sostenute. La scala di equivalenza aiuta i redditi più alti e incide negativamente sui redditi più bassi che potrebbero ritrovarsi a dover compartecipare ai costi dei servizi, da cui con l'Isee pre-sentenza erano esclusi. Questa situazione determina un significativo problema di equità all'interno della categoria dei disabili.
Non era l'unica soluzione possibile, si poteva, per esempio, soprattutto con un intervento più tempestivo del governo, intervenire sulle franchigie e sulle spese effettivamente sostenute, mantenendo criteri di differenziazione e di maggiore aderenza alla differenza delle condizioni di disabilità, di capacità economica, di carico assistenziale.
Prioritaria, ancora una volta, su un equo trattamento dei cittadini, è stata la tenuta dei conti pubblici anche per importi non particolarmente significativi sui saldi di finanza pubblica. Il nodo di un fondo della costituzione di un fondo richiesto dai Comuni per fare fronte alle maggiori spese, in virtù di una maggiore capacità di accesso alle prestazioni, ha di certo determinato il cambio di orientamento.
E' necessario ora, in tempi rapidi e certi, rivedere l'impianto dell'indicatore per ripristinare i suoi principi ispiratori fondamentali: equità e corretta differenziazione delle effettive condizioni di ciascun cittadino e/o nucleo familiare. Se la modifica approvata nella giornata di ieri ha e vuole avere solo carattere transitorio è necessario che il Ministero del Lavoro avvii da subito il percorso per strutturare l'intervento definitivo, anche cogliendo la esigenze di alcune altre modifiche che si sono rese evidenti nel primo anno di utilizzo, in modo che si possa dal gennaio del 2017 poter contare su un indicatore della situazione economica con un carattere di prospettiva, questo anche in considerazione del generale utilizzo che se ne prospetta per nelle diverse prestazioni sociali.
Fonte: Rassegna Sindacale
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