di Francescomaria Tedesco
Jacquerie. Con questa parola, che evocava le rivolte contadine nella Francia del 1300 capitanate da ‘Jacques Bonhomme’ (Giacomo il buon diavolo), soprannome dato dai nobili ai contadini, la pubblicistica francese di metà Ottocento favorevole a Luigi Bonaparte (Napoleone III) agitava lo spettro dell’insurrezione e paventava esplosioni di rabbia, accessi violenti di rancore sociale. Ma i contadini, diceva Marx nel 18 Brumaio di Luigi Napoleone con cui commentava l’ascesa del nipote del grande Corso, non sono una classe, non sono in grado di rappresentarsi, devono essere rappresentati: essi non costituiscono una comunità politica, non c’è coscienza di classe.
Si tratta di una semplice somma di grandezze identiche, continuava Marx, “allo stesso modo che un sacco di patate risulta dalle patate che sono in un sacco”.
E infatti erano stati i contadini, sosteneva ancora il filosofo tedesco, a eleggere il nipote di Napoleone. Insomma, i contadini (e i piccoli proprietari terrieri) non rappresentavano una vera minaccia all’ordine costituito, anzi.
E infatti erano stati i contadini, sosteneva ancora il filosofo tedesco, a eleggere il nipote di Napoleone. Insomma, i contadini (e i piccoli proprietari terrieri) non rappresentavano una vera minaccia all’ordine costituito, anzi.
Per il Primo maggio sono circolate icastiche rielaborazioni ironiche, meme si dice in gergo internettiano, del Quarto stato, il celebre quadro di Pellizza da Volpedo: se l’originale rappresentava i contadini fieramente in marcia durante una protesta, adesso essi sono girati di spalle, oppure divisi uno dall’altro, accompagnati dalla didascalia “Ognun per sé”. È chiaro che la classe non esiste (più). Non esiste nemmeno dunque la lotta di classe nel senso tradizionale.
Se esiste, è semmai rovesciata e vittoriosa: dei ricchi sui poveri, dei proprietari sui produttori. Neanche la famigerata busta arancione dell’Inps, che dovrebbe dire a ogni lavoratore quando andrà in pensione, riuscirà a unificare il nuovo proletariato straccione, anzi precariato straccione. Poiché quel neo-proletariato non esiste come classe. La lotta del precario è per la sopravvivenza, figuriamoci pensare alla coscienza di classe. I precari sono un sacco di patate. Assistiamo però a degli eventi che ci interrogano. In questi giorni, per esempio, mezzo milione di persone è sceso in piazza in Francia per manifestare contro la Loi travail, l’equivalente francese del Jobs act renziano.
Forse Marx avrebbe parlato di jacquerie. I casseurs non sono una classe, sono un sacco di patate. Di certo non siamo di fronte all’avversarsi di ciò che Marx pensava, ovvero che l’accrescersi progressivo della miseria e dello sfruttamento avrebbe prodotto l’incremento della resistenza proletaria. Eppure, mentre in Italia la pavida minoranza Pd ha votato il provvedimento di Renzi e la piazza è rimasta inerte, in Franciada giorni si assiste a una mobilitazione generale di grandi proporzioni contro il ‘socialista’ Hollande.
Che cos’è quello che sta avvenendo in Francia? Possiamo definirla una rivolta? Se la rivoluzione è il progetto di un domani migliore, la rivolta è un lampo sinistro che illumina il futuro, per tornare poi nella nera oscurità. Nel suo libro sulla ‘simbologia della rivolta’ intitolato icasticamente Spartakus, il compianto mitologo Furio Jesi scriveva che “la rivoluzione prepara il futuro, la rivolta evoca il futuro”. La rivolta, in questo senso, anticipa, lascia intravedere – pur senza avere alcun ruolo nella preparazione della coscienza di classe – non il domani, ma il dopodomani. La rivolta esclude una strategia a lungo termine. Quella è propria della rivoluzione. Ma la rivolta fa qualcosa di più: “L’epifania del dopodomani è maturazione di una coscienza umana”, più che una coscienza solo di classe, scriveva Jesi.
Se il filosofo Jacques Rancière ha affermato in un’intervista a commento dei fatti francesi che una volta la mobilitazione avveniva nello spazio chiuso della fabbrica, e che oggi invece avviene per le strade e nelle piazze (Occupy Wall street, per esempio), tuttavia la strada o la piazza segnalano proprio la natura proteiforme, cangiante, della folla di soggetti che le frequentano: uno spazio aperto, nel quale non vi è identificazione di ‘classe’ né appartenenza spazialmente circoscritta. Uno spazio nel quale, al netto dell’estetica della rivolta (che pure mina moltissima parte del movimentismo contemporaneo), del carnevale per gentile concessione del sovrano che lo tollera, potrebbe riverberare il dopodomani. Se in Francia si stia manifestando questa possibilità di una fenditura nel tempo granitico del domani ‘neoliberista’ che ci si para davanti, duro come un muro, non si sa: “non è che l’inizio”?
Fonte: Il Fatto Quotidiano - blog dell'Autore
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