di Giulio Cavalli
La paura fondamentalmente ci rende soli. E cattivi. Soli e cattivi come possono essere soli e cattivi tutti quelli che temono di non avere abbastanza energie per difendersi e allora cominciano a ridurre il recinto degli affetti: il potere dei prepotenti ama gli uomini isolati perché incapaci di organizzarsi. È una stagione confusa, con il freddo della superficialità, il ruvido della sicumera e questo misto di giovani rampanti e vecchi cacicchi che nessuno ci avrebbe scommesso di vederli andare così d’amore e così d’accordo.
La questione morale non è politica: la questione morale è sociale, culturale. Si riflette nell’arroganza con cui dirigenti per eredità perculano i giovani a cui dovrebbero insegnare: direttori, responsabili, parlamentari e capi che si tengono stretti alle poltrone, con le mani di rughe e fallimenti condonati, sperando di durare il più a lungo possibile.
La questione morale è (anche) in una classe dirigente che s’atteggia a maestro di vita ma non ha nemmeno lo spessore di insegnare un mestiere.
La questione morale è (anche) in una classe dirigente che s’atteggia a maestro di vita ma non ha nemmeno lo spessore di insegnare un mestiere.
All’intestino dell’indignazione basta un arresto al giorno per masticare fino a sera. La questione morale è (anche) usare i pesci piccoli come vibratori per attaccare quelli che stanno in alto: e così finisce che la sindaca di Quarto, il sindaco di Lodi o il direttore della piccola emittente televisiva bastano per raggiungere l’orgasmo e fa niente la disuguaglianza, la corruzione sistemica, i diritti negati, i bisogni inascoltati, la finanza senza etica. Qui da noi la politica è una partita tra coglioni che si sfidano cercando di fare meno autogol possibili. E si esulta come se fosse calcio champagne.
Il giorno in cui abbiamo cominciato tutti a credere commestibile il meno peggio noi abbiamo, senza esserne consapevoli, spostato la ringhiera dell’opportunità qualche metro più in là. E alla fine esercitiamo il nostro giudizio sempre più “pop” tutti insieme nel terrazzo abusivo. La questione morale è (anche) il nostro diventare tolleranti più di quanto dicono le regole perché così ci viene comodo poterci perdonare. Il giorno che abbiamo deciso che la legalità è l’imposizione del nostro giudizio, perché le leggi sono troppo noiose da imparare.
La questione morale è (anche) una politica che cerca ogni giorno lo “sprint”, vuole una questione morale usa e getta che possa permettere di arrivare entro sera. E poi domani ci pensiamo. Un Paese con l’antimafia che indaga la mafia dell’antimafia e intanto corregge con Verdini la Costituzione. Un Paese in cui il garantismo vale solo per i sodali; il giustizialismo è che sia fatta la propria giustizia.
La questione morale è (anche) ogni volta che ci lamentiamo di come vanno le cose e non ci mettiamo il naso, nelle nostre cose, convinti che il non occuparsi della cosa pubblica sia una liberazione fino al momento in cui gli altri intanto l’hanno resa cosa loro. E allora tutti ad indignarsi. Ancora. Ovvio.
La questione morale è (anche) un popolo che sullo stesso evento, nello stesso contesto, riesce ad esercitare una valutazione tira e molla: feroci se si tratta di noi e fatalisti finché è storia d’altri. La questione morale è (anche) un Paese profondamente egoista convinto di averne il diritto, per di più.
La questione morale è (anche) nel palcoscenico imbruttito della politica dove sembra che ci sia posto solo per i bulli. Più o meno volgari, più o meno arguti ma sempre tronfi. Il nostro presidente ideale è quello che, in caso di bisogno nostro, ci risponderebbe al telefono dopo il primo squillo. E intanto filosofiamo di etica. Però.
Fonte: Left
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