Intervista a Tomaso Montanari Anna Lucia Cagnazzi
Qual è la via di rinascita e riappropriazione del patrimonio culturale? Una potrebbe essere tornare a parlarne seguendone la forma visiva, monumentale e percependone il senso mentale (di dibattito), formativo (di memoria ed elaborazione) e professionale (di lavoro).
Lo si potrebbe fare anche con un linguaggio, forse démodé, per taluni arcaico, ma assolutamente sano, per tornare ad essere contemporanei. La vera innovazione sarebbe allora liberarsi da vizi e circuiti arcaici e conservatori (questi sì), e andare avanti, con la consapevolezza di farlo nell’unico modo in cui andrebbe fatto, ovvero, prima di tutto, tornando a formare un popolo, tornando a fornirgli gli strumenti della conoscenza.
Sabato 7 maggio a Roma su impulso di Tomaso Montanari – storico dell’arte da anni impegnato in campagne di difesa del patrimonio pubblico anche con un lavoro culturale di divulgazione (la sua ultima pubblicazione è Privati del patrimonio, Einaudi, 2015) – prenderà corpo Emergenza Cultura, una manifestazione che chiama cittadini e mondo dell’associazionismo culturale a protestare e a ragionare sul tema del patrimonio e dei beni comuni. La manifestazione è legata idealmente a un primo incontro tenutosi il 5 maggio 2013 a L’Aquila del post-terremoto, al quale ne è seguito un secondo, il 4 maggio 2014, a Mirandola.
A Tomaso Montanari abbiamo chiesto le ragioni e la necessità di una manifestazione che si configura come il punto di partenza di un movimento civico capace di opporsi sì alla spoliazione del patrimonio pubblico, ma che sia anche capace di formulare proposte al passo con le esigenze della fruizione pubblica.
Sono ciò che l’articolo 9 fissa tra i principi fondamentali della Repubblica: la valorizzazione è l’infelice parola con cui chiamiamo ciò che il primo comma di quell’articolo chiama «sviluppo della cultura», ed è basata sulla ricerca. La parola «tutela» fu preferita dai costituenti a ‘protezione’, perché quest’ultima ha in sé qualcosa di inevitabilmente episodico e puntale (anche nei suoi usi istituzionali: si pensi alla Protezione Civile): la ‘tutela’ non è emergenziale ma sistematica e preventiva, ed ha l’obiettivo di rendere sicuro il patrimonio, e di consegnarlo inalterato alle generazioni future.
Il Decreto Sblocca Italia e la legge Madia intervengono sulla normativa delegittimando su più livelli le amministrazioni preposte alla tutela. Cosa sono le Soprintendenze oggi? Che ruolo hanno nel presente e in prospettiva?
"Oggi sono un corpo estenuato e malato, prossimo alla morte per inedia. Negli ultimi trent’anni si è fatto alle soprintendenze ciò che la Tatcher fece alle ferrovie pubbliche inglesi: sono state scientificamente sabotate privandole di mezzi e personale. Ora, però, c’è un salto di qualità. Renzi ha scritto che «soprintendente è la parola più noiosa della burocrazia»: siamo ad una nuova edizione di ‘mani sulla città e sul territorio’, e la tutela delle soprintendenze è vista come un ostacolo da rimuovere sulla via dello ‘sviluppo’. Rischiamo di annegare nel cemento."
Il Decreto Franceschini contiene in particolare un comma che prevede che “sulla concessione ai privati dei beni culturali non decidano più i soprintendenti, ma i poli museali”. Da dove nasce la decisione di cambiare una prassi che riguarda così da vicino un patrimonio collettivo?
"L’autonomia dei musei non è stata pensata (come pure aveva proposto la commissione Bray) sul piano scientifico, della ricerca e della produzione e comunicazione della conoscenza. È stata pensata come pura autonomia commerciale, come la via breve alla mercificazione dei gioielli di famiglia, lasciando tutto il resto andare in malora."
Che effetti potrebbe avere questo Decreto?
"Un totale asservimento dei supermusei alle linee guida del governo: che sono fare dei musei macchine da soldi (sono parole di Matteo Renzi)."
La dialettica mercenaria che usa la parola “petrolio” per riferirsi al patrimonio culturale e paesaggistico in Italia che ricchezza produce?
"La ricchezza privata di pochi oligopolisti strettamente collegati alla politica. Una ricchezza che non crea lavoro, né cultura, ma che desertifica."
Quindi questa dimensione non conduce neanche a una condizione economica tale da poter garantire il rispetto delle minime condizioni di lavoro per chi se ne occupa e per chi, avendone i meriti e i titoli, vorrebbe occuparsene? Questa politica è pensata per un investimento sul lavoro con contratti continuativi, o siamo ancora nella fase di stage e piccoli incarichi a progetto, nella migliore delle ipotesi? Il turnover è sufficiente a coprire il fabbisogno di saperi e competenze?
"Francheschini sta assumendo 500 funzionari: questa è un’ottima cosa. Ma è anche una goccia nel mare: ce ne vorrebbero 7000 per il normale funzionamento. E invece si va avanti con lavoro travestito da tirocinio, stage, contratto di formazione, volontariato. C’è un nuovo schiavismo: quello dei Beni culturali."
Cos’è l’innovazione? Qual è il modello innovativo da perseguire? Quali dovrebbero essere i suoi criteri?
"La cosa più innovativa che si potrebbe fare – anzi la più rivoluzionaria – sarebbe applicare la Costituzione. E dunque governare il patrimonio come strumento di inclusione sociale, educazione alla cittadinanza, costruzione dell’eguaglianza. Invece siamo all’industria del lusso. Pompei che diventa location per concerti da 350 euro a biglietti è il simbolo di un’oscura decadenza culturale."
Rispetto al suo agire e pensare fuori dalle aule universitarie, sente di avere un seguito e un supporto dal mondo civile e, più specificatamente, da quello accademico, scientifico, intellettuale? Qual è la qualità dell’impegno civile in Italia oggi?
"Migliaia di persone si stanno mobilitando per Emergenza Cultura, la mia serie tv su Bernini è stata vista mediamente da oltre duecentomila persone. Dal mio (per carità, limitatissimo) osservatorio, vedo un’altra Italia: assetata di conoscenza e di cittadinanza. Un’Italia senza rappresentanza politica."
Fonte: che-fare.com
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