di Luca Martinelli
Quando si legge che “in Italia (sarà) vietato costruire nuove case” (dal 2050, La Stampa, 4 maggio), e che la legge per contrastare il consumo di suolo -che la prossima settimana verrà approvata alla Camera- rappresenta un “colpo alla crescita”, che “corre dietro a statistiche allarmistiche per fare demagogia” e “continuare a far vincere la cultura dei veti” (Il Sole 24 Ore, 5 maggio), è bene provare a far chiarezza.
L’iter legislativo che ha portato in aula il provvedimento è iniziato nel febbraio del 2014, con un disegno di legge che recava -tra le altre- le firme di Massimo Bray, che era ministro dei Beni culturali; Andrea Orlando, allora ministro dell’Ambiente; Maurizio Lupi, in quel momento ministro delle Infrastrutture.
Le “statistiche allarmistiche” di cui scrive Il Sole 24 Ore sono quelle diffuse ogni anno dall’ISPRA, che è l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, e dipende dal ministero dell’Ambiente: nell’ultimo rapporto, presentato a maggio dello scorso anno, arrivava a certificare che le aree impermeabilizzate nel nostro Paese sono pari a quasi 22 mila chilometri quadrati, e che nonostante la crisi economica siano (ancora) consumati 7 metri quadrati al secondo di superficie agricola.
È a partire da questi dati che il tema del consumo di suolo è entrato nell’agenda politica nazionale, su input -è bene ricordarlo- di Mario Catania, che prima di occupare un ruolo “politico” alla guida del ministero dell’Agricoltura durante il governo Monti è stato un dirigente dello stesso dicastero. Questi due anni ci hanno però insegnato che al di là di ogni retorica, la volontà di frenare (o fermare) il consumo di suolo non rappresenta una priorità, come evidenziano anche l'approvazione della legge Sblocca-Italia o anche i risultati dell'ultimo CIPE, che dà il la a numerosi progetti autostradali e legati all'Alta velocità.
E lo rende evidente, prima ancora di un’analisi complessiva del provvedimento, il dibattito intorno all’articolo 2, quello che definisce il concetto di “superficie agricola, naturale e seminaturale” e -come conseguenza- che cosa s’intenda per “consumo di suolo”. Sono agricoli “i terreni qualificati come agricoli dagli strumenti urbanistici”, mentre tutte le altre superfici non impermeabilizzate non sono considerate suolo libero a prescindere, perché sono numerose le eccezioni (e riguardano quelle destinate ad ospitare servizi di pubblica utilità, ma anche infrastrutture ed insediamenti produttivi, o le aree di completamento di questi). Quelli che sono campi, ma in realtà potrebbero diventare altro, non sono nemmeno considerati “superficie agricola, naturale o seminaturale”. Lo stesso vale per i cosiddetti lotti “interclusi”, ovvero quelli “spazi aperti” -secondo la definizione del professor Paolo Pileri- sopravvissuti tra gli insediamenti industriali, la cui importante è fondamentale -tra gli altri- per rispondere a problemi causa dall’iper cementificazione come le isole di calore.
Ciò che stupisce e che emendamenti di questo tenero siano stati suggeriti dall’ANCI, l’Associazione nazionale dei Comuni italiani, e non dall’ANCE, l’Associazione nazionale dei costruttori edili.
Sembra che anche a livello nazionale si voglia giocare lo stesso “gioco delle tre carte” che sempre Pileri ha letto tra le righe della legge regionale lombarda sul consumo di suolo (ne scrive su Altreconomia di aprile 2016), dove “la superficie agricola […] è data dai terreni qualificati dagli strumenti di governo del territorio come agro-silvo-pastorali”, “la superficie urbanizzata e quella urbanizzabile diventano, di fatto, dei sinonimi” e “consumo di suolo è definito come la trasformazione, per la prima volta, di una superficie agricola da parte di uno strumento di governo del territorio”.
Non sono le ruspe, i cantieri, a modificare un territorio. È un atto amministrativo che a questo punto diventa irreversibile, creando -di fatto- un “diritto ad edificare” che rappresenta per molti -e su tutti l’ex vicepresidente della Corte Costituzionale Paolo Maddalena- solo un obbrobrio giuridico.
Fonte: Altreconomia
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